Il 25 novembre bisogna scendere in piazza tutte e tutti contro la violenza sulle donne

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Tralasciamo per un attimo la tragedia di Giulia Cecchettin, la ragazza di ventidue anni recentemente assassinata da Filippo Turetta, il suo ex fidanzato. E tralasciamo anche le reazioni a caldo che ne sono seguite, compresi i deliri di qualcuno che, purtroppo, non perde mai occasione per evitare forme di sciacallaggio che si commentano da sole.
Si avvicina il 25 novembre, Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, ed è bene fornire un messaggio di speranza. Molte donne sono scosse, arrabbiate, preoccupate, ed è comprensibile. L’indignazione ci sta, una certa disperazione anche, ma proprio per questo è doveroso contrastare questa deriva, offrendo l’immagine di una società aperta, coesa e solidale. Certo, serve l’educazione all’affettività nelle scuole a partire dalla più tenera infanzia, senza trasformarla in una materia con voti, compiti e verifiche che sortirebbero, probabilmente, l’effetto opposto. Ma serve, soprattutto da parte di noi uomini, prendere per mano le nostre sorelle, le nostre compagne, le nostre mogli e tutte le donne e dire loro che ci siamo. Siamo al loro fianco, condividiamo i loro sentimenti, capiamo il loro sconforto, accettiamo anche qualche post eccessivo e qualche esagerazione: il momento è terribile e la ferocia permea ogni ambito del nostro vivere civile. Dobbiamo, tuttavia, stare attenti a non cedere alla logica della barbarie. Dobbiamo contrastare l’odio dilagante. Dobbiamo evitare la contrapposizione fra i sessi. Dobbiamo scongiurare che vengano innalzati altri muri. Dobbiamo far sì che la cultura dell’incontro prevalga in ogni ambito. E dobbiamo valorizzare la ricchezza del rapporto fra uomini e donne, evitando che venga a crearsi una barriera che favorirebbe unicamente i violenti e il loro desiderio di prevaricazione e di dominio.
La gentilezza, la dolcezza, l’umanità, il confronto e, perché no?, l’amore devono prevalere sulla paura. Le incomprensioni devono dissolversi, e non sarà facile. La furia di queste ore deve cedere il passo a un’analisi razionale. La forza dello stare insieme deve prevalere, a ogni costo, sulla deriva isolazionista cui rischiamo di andare incontro. L’essere umano, infatti, non è nato per vivere in solitudine: la solitudine uccide ed è foriera di altra crudeltà. Al contrario, siamo fatti per guardarci negli occhi, per accarezzarci, per abbracciarci, per provare empatia, per volerci bene e per cercare nell’altro ciò che non troviamo in noi stessi. Con meno di questo, scompare la convivenza fra le persone, scompare la società, scompare tutto. Per questo, pur ribadendo solidarietà e affetto nei confronti della famiglia di Giulia, sconvolta dal dolore, dobbiamo astenerci dall’aggiungere un nome all’elenco di donne assassinate dall’inizio dell’anno. Non di statistica si tratta ma di vita, di storie, di comunità. Si tratta di noi, di ciò che siamo, di ciò che dovremmo essere e anche di ciò che, invece, non vogliamo e non dobbiamo essere più.
Il 25 novembre bisogna scendere in piazza tutte e tutti. Poi, però, bisogna dire con dolcezza a una ragazza che ha paura di uscire di casa di farlo, di non nascondersi, di non darla vinta ai suoi demoni e di non perdere mai la fiducia nel prossimo. Una società senza fiducia, difatti, è una società senza futuro. E nel vuoto tutto si logora, ogni principio viene meno, il rispetto svanisce e riemergono gli istinti ferini: quelli che troppi uomini non sono in grado di dominare, quelli che troppo spesso accettiamo, quelli che conducono dritti all’abisso. E se qualcuno pensa che aumentare le pene serva a qualcosa, quel qualcuno o non sa di cosa parla o è interessato solo a ricevere qualche like, senza minimamente curarsi di quanto orrore possa alimentare quel like.

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