Venti rivoluzionari soffiano sui ciliegi dell’immortale capolavoro čechoviano al Piccolo Teatro di Catania

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Chi è di scena? Dietro le quinte gli attori si preparano ad affrontare la prima de “Il giardino dei ciliegi”. Nell’aria la tensione dell’esordio è palpabile.

A sipario aperto ci accoglie una scenografia ispirata all’arte concettuale, asciutta ed essenziale, di cubi allineati a terra e in aria, su cui lettere luminose formano la scritta IL GIARDINO DEI CILIEGI, unico elemento a far da struttura mobile all’intensa pièce, firmata Nicola Alberto Orofino, all’insegna del movimento corale accelerato e incessante dei personaggi che incarnano la forza e la paura del cambiamento, nodo centrale dell’opera di Anton Čechov. Si tratta di uno dei più significativi testi teatrali del grande drammaturgo e di tutto il teatro del ‘900, offerto dal Teatro della Città al pubblico catanese con la dinamica regia del giovane e talentuoso regista che ha mostrato la consueta capacità di sintesi trasportando, con l’inconfondibile verve che lo contraddistingue, la pièce dell’autore russo in un’ambientazione contemporanea e a tratti mediterranea, condita da suggestive musiche di sottofondo o di stacco. Orofino ha affrontato con piglio deciso uno dei mostri sacri della storia del teatro, inalberando un affresco di sapida modernità, uno struggente inno al cambiamento, condito da coreografie speziate e disciolte in coordinate sfaccettature, sovente risolte in quadri intersecati alle scene principali, con gustosi e vivacissimi contrappunti del formidabile “corpus” attoriale, magnificamente in sinergia, dove era difficile percepire i personaggi principali, se non in frammentari momenti, costantemente immersi in una turbolenta orchestrazione di voci, volti, gesti, canti, a solo, duetti, concertati, come in un’opera rossiniana o mozartiana.

Anton Pavlovič Čechov

Al centro della nota vicenda il grande assente, evocato solamente dalla scrittura luminosa, è un giardino di ciliegi secolare, destinato all’abbattimento  per l’impoverimento e l’incuria della famiglia aristocratica a cui appartiene da secoli, per fare posto a una nuova configurazione del territorio in moderne villette a schiera, per mano della borghesia nascente, a dispetto dei nostalgici del bel tempo che fu e ai naturisti, in un work in progress dove la coralità e la vivacità delle scene e dei personaggi è al servizio di un rinnovamento reso tangibile dal graduale smantellamento del passato, tra ricordi, memorie gioiose o dolorose, dialoghi intensi, fino al compiuto gesto finale di uno straniante e delirante trasloco agito da tutti i personaggi, con tanto di impacchettamento e trasporto dei cubi fino allo svuotamento totale della scena, mentre il suono del vento implacabilmente ulula sulla fine di un’era. Tutto è compiuto.

Rappresentato per la prima volta a Mosca nel 1904, sotto la direzione di Stanislavskij e Dançenko, “Il giardino dei ciliegi” può essere considerato un testamento spirituale di Čechov che morì sei mesi dopo.  Concepito come una commedia dall’autore, ma non da Stanislavskij, che gli diede il sapore della tragedia, l’opera in questa rilettura di Orofino mantiene i due registri, variamente decodificati in illustri regie precedenti, da Peter Brook a Strehler, mantenendo un fascino inossidabile e una sottile linea di ironia che sembra felicemente condensarsi nella regia del Nostro, attento ai registri, ma anche al tema nodale, fonte di conflitti e inevitabili lacerazioni. Riso e pianto, movimenti parossistici e improvvise immobilità si alternano in un vortice che trascina ed emoziona incessantemente. Il giardino non si salva perché nessuno in fondo vuole salvarlo. L’ignavia dei proprietari e i venti di cambiamento danno una spallata finale a ciò che assurge a simbolo della vecchia classe dominante, a fronte di una nuova era dove il profitto espianta la bellezza e la vetustà, inevitabilmente.

Difficile non pensare al Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, pubblicato cinquant’anni dopo, eco malinconico di un cambiamento doloroso e inevitabile sottolineato dalla cinica e inquietante frase di Tancredi: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”.

Accettare le trasformazioni che la vita inesorabilmente ci impone, liberandoci dal vetusto e spingendoci verso il nuovo, sembra essere la direzione intrapresa da questa interessante edizione del Giardino, ma da qualche punto della struttura drammaturgica tracima insospettato un vago rimpianto per la perdita di ciò che in sostanza rappresenta la forza vitale, anche se un nuovo giardino sorgerà altrove, speranza a cui si aggrappa la giovane Anja, congedandosi e liberandosi dal suo passato per sognare una nuova vita.

 

IL GIARDINO DEI CILIEGI

di Anton Čechov

Regia di Nicola Alberto Orofino

Con Luana Toscano, Egle Doria, Francesco Bernava, Anita Indigeno, Daniele Bruno, Luigi Nicotra, Alice Sgroi, Carmela Silvia Sanfilippo, Lucia Portale, Giovanni Zuccarello, Alberto Abbadessa, Vincenzo Ricca

Scene e costumi Vincenzo La Mendola

Disegno luci Simone Raimondo

Assistente alla regia Gabriella Caltabiano

Produzione Centro di produzione Teatro della Città

 

Al Piccolo Teatro di Catania fino a Domenica 15 Ottobre

Venti rivoluzionari soffiano sui ciliegi dell’immortale capolavoro čechoviano al Piccolo Teatro di Catania


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