Sasso, bicchiere, tovaglia. Anche così hanno raccontato il Vajont

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Una delle prime cose che ha fatto subito dopo il Vajont è stata leggere il “Don Quisciotte”. Stiamo parlando di un Mauro Corona quattordicenne  che, sfollato dai preti dopo il disastro della diga che tenne, ma ci finì un pezzo di monte dentro, in collegio scopre questa storia in cui non si viene mai sconfitti perché si è sempre sconfitti, e però ci si rialza, ci si toglie la polvere di dosso, si riparte. Lo salva una storia, ed è per questo forse che poi ne ha scritte tante. Il valore salvifico del racconto, come sempre. E forse per questo oggi che è il 9 ottobre in più di 130  teatri in tutta Italia si continua a raccontare e viene presentato lo spettacolo Vajonts, iniziativa ancora una volta di valore fortemente civile voluta da Marco Paolini. E voluta al plurale, come si vede dal titolo, perché ogni teatro sceglierà come raccontare quanto è successo 60 anni fa, come seguendo una specie di canovaccio. In teoria può  farlo ogni cittadino, ognuno di noi può ricavare il suo racconto personale da quello che ricorda e lo ha colpito e per lui è la lezione lasciata dal Vajont. Può farlo chi sta scrivendo ora, che nelle viuzze strette della Erto vecchia, davanti all’osteria Gallo cedrone tante volte citata in Corona,  proprio da lui ha ricevuto in dono un dente di volpe, un fortissimo portafortuna per gli abitanti del luogo ma solo se appartenuto a una volpe morta in maniera naturale. Lo farà ancora una volta Corona, che un po’ se ne vergogna, dice, non vuole passare per uno che di mestiere ha fatto il sopravvissuto, ma nel suo ultimo libro, “Le altalene”, torna a raccontare  il suo mondo scomparso più velocemente di un’antica civiltà, e in qualche modo lo farà anche oggi, e se lo farà ricordando il rumore e il vento fortissimi di quella notte farà benissimo perché racconterà la storia dall’inizio. Racconterà Gabriele Vacis, autore insieme a Paolini dello spettacolo originale, che affiderà la storia agli attori della compagnia PEM e con i racconti lui dice che “ci si riappropria e ci si riconcilia con il tempo e con la realtà”, per questo sono antichissimi e importanti. Racconteranno quanti non vogliono che si continui a sottovalutare certe situazioni, certi rischi. Qualcuno il 9 ottobre spero racconterà di chi ha raccontato per prima, l’indomita giornalista dell’ Unità, Tina Merlin. Racconterà che lei ha visto tutto, prima, dall’alto. Una giornalista falco, una giornalista angelo. E non ha mai detto povera Longarone, la Merlin. E ha raccontato anche di Erto e Casso. Esortando a non piangere, ma ad imparare qualcosa.

E chi, oggi che è il 9 ottobre, racconterà ai bambini, spero lo farà con le parole di un grande scrittore di quelle parti che sul “Corriere della sera” iniziava la sua storia anche per noi adulti  così:

“Un sasso è caduto in un bicchiere, l’acqua è uscita sulla tovaglia (…)


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