L’agonia che non passa. “Fame d’aria” di Daniele Mencarelli, Mondadori ed.

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Se non si può più vivere la propria vita, se bisogna accudire momento per momento il proprio figlio, se non è neanche ipotizzabile tornare indietro all’epoca in cui tutto era fattibile e semplice, è scontato sentirsi senza ossigeno, agonizzanti, affamati d’aria per via di un macigno posato sul petto a pressare senza misericordia, bisognosi, e magari desiderosi, di un pietoso colpo di grazia per interrompere una sofferenza che ha il sapore dell’ineluttabilità e dell’eternità del nostro tempo sulla terra. “Ha da passà ‘a nuttata” diceva Eduardo, ma ci sono certe notti che non passano mai, che offrono solo incerti spicchi di luna da osservare da lontano con la consapevolezza che l’algido bagliore non apparterrà mai a chi guarda la vita dal di fuori, una vita che scorre per gli altri e non più per se stessi in un altrove irraggiungibile.
In Fame d’aria di Daniele Mencarelli, Mondadori editore, la percezione del dolore muto e insostenibile legato alla gestione di un figlio disabile (autismo a bassissimo rendimento) lacera come un vetro aguzzo e scava nella carne con la rabbia impotente di un padre che si interroga sulla propria sorte e che riversa il proprio insopportabile malessere sul ragazzo, tanto bello quanto inconsapevole dello sfascio prodotto nella coppia che lo ha generato. La beffa atroce dell’autismo è quella di non manifestarsi subito, di lasciare ai genitori il tempo di gioire, di illudersi, di progettare, fino ai giorni amari dei dubbi, della percezione di una diversità evidente, dello sgomento di una diagnosi che non lascia alcuno spazio alla speranza ma solo ad incessanti tentativi di terapie volte ad alzare di pochi millimetri l’asticella del rendimento e di una impossibile autonomia. E saranno i giorni “della tenebra più fitta della notte”, quelli dell’invidia per il miracolo di un figlio normale. La ferita narcisistica e l’autocommiserazione (Possibile io? Perché proprio a me?) diventano compagne inseparabili e se almeno in sogno affiorano brandelli di normalità, il risveglio, dopo pochi attimi di nebbiosa sospensione, riconsegna l’impatto con una realtà senza scampo scandita da cure igieniche e istruzioni alimentari. Il rimpianto di un’altra vita possibile, senza quel figlio o con un figlio come gli altri, trafigge il cuore come un inattingibile raggio di luce. Lo sguardo vuoto del ragazzo è lo specchio dell’impotenza paterna, di un sentimento che somiglia all’odio e che invece è soltanto un amore frustrato, tanto disperato quanto inutile.
Pietro viaggia su una vecchia Golf con il figlio Jacopo diretto in Puglia, a Marina di Ginosa, là dove tutto è cominciato, là dove un incontro di sguardi ha fatto conoscere l’amore a Pietro e a Bianca. Un guasto alla frizione costringe Pietro a fermarsi a Sant’Anna del Sannio, un minuscolo paese in pietra bianca, in cerca di aiuto. Le solite occhiate su Jacopo – ci vuol poco a coglierne la diversità, bastano gli occhi privi di qualsiasi scintilla e i movimenti stereotipati – la solita risposta brusca e spiazzante a chi chiede chiarimenti per pietà o per morbosa curiosità, il solito finto interesse per “qualsiasi tema che riguarda l’esistenza”. Il rischio dell’asfissia emotiva è dietro l’angolo, l’aria come elemento vitale viene a mancare e porta alla morte spirituale.

Daniele Mencarelli

Cos’è rimasto di Bianca e Pietro? Cos’è rimasto del loro amore? Cosa può sopravvivere in giornate prive di qualsiasi orizzonte progettuale? E se a tutto questo si uniscono le difficoltà economiche e la solitudine nel proprio dramma, come può la vita sorridere o offrire qualche lusinga? Il bonario soccorso del meccanico Oliviero e la severa ospitalità di Agata, proprietaria di un bar che un tempo era stato anche pensione, lo trattengono in un microcosmo di riservatezza in cui i sentimenti sembrano raggelati ma pronti ad affiorare. Un refolo d’aria sembra giungere a Pietro dal sorriso di Gaia, una donna che aiuta Agata nelle faccende da sbrigare, di cui solo alla fine si scoprirà il passato, ma quell’aria, di cui il protagonista ha una fame disperata, non può posarsi sulle sue aride labbra, e sembra che il destino debba compiersi così come lui ha deciso di costruirlo attraverso quel viaggio, uno sgambetto alla malasorte, uno sberleffo che vuol trasformarsi in un abbraccio di purissimo amore. Non sarà così per quel piccolo prodigioso fenomeno che chiamiamo empatia e grazie alla piccola comunità che si stringe intorno al corpo estraneo per proteggerlo da se stesso e dai propri impulsi distruttivi.
Nella singolare e disturbante immagine di copertina si coglie l’allusione al pio Enea che regge sulle spalle il vecchio padre Anchise con un doloroso e innaturale capovolgimento. Pietro appare piccolo e per nulla rassegnato a portare la sua croce, Jacopo giganteggia con un corpo arrotolato e inerte, il volto di chi non ha percezione del proprio esagerato peso.
Mencarelli torna al proprio vissuto con un testo meno ricco e articolato rispetto al bellissimo La casa degli sguardi del suo esordio narrativo, ma più dolente ed essenziale, quasi prosciugato persino nella sintassi, e si conferma grande narratore di verità dolorose, di quelle vite assurde e spigolose che la sorte affibbia senza ritegno a chi non le merita.
“Dio è un altro” recita la dedica dell’autore, una preghiera o uno schiaffo per quel Dio che si vorrebbe sentire vicino nella disperazione e che invece non risponde perché non vuole o non può o più semplicemente perché non esiste così come l’essere umano lo concepisce, è un altro. Non è dato conoscere il perché della sofferenza, si può solo prenderne atto e continuare a soffrire.

Fame d’aria
Daniele Mencarelli
Mondadori
19,00 €

L’agonia che non passa. “Fame d’aria” di Daniele Mencarelli, Mondadori ed.


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