Il paradosso della riforma per l’elezione diretta del Capo del Governo

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Nella riforma costituzionale predisposta dalle destre per l’elezione diretta del Capo del Governo, c’è un paradosso. I promotori si barricano dietro a una posizione apparentemente ineccepibile: non c’è nulla di più democratico che far scegliere ai cittadini chi poi li dovrà guidare. Ma non è così  L’attuale  nomina ”indiretta” del Premier – tramite incarico del Presidente della Repubblica e voto del Parlamento – serve proprio ad affidare questa delicata fase della gestione del potere ad esperti nell’abbinamento di programmi e persone. Una composizione di interessi che mira a realizzare un governo, in equilibrio tra l’interesse generale del Paese e quelli particolari delle parti.

Il popolo – tranne minoranze militanti – non ha la capacità di perseguire l’interesse generale, perché spesso questo è posto alla fine di una catena di indigesti doveri. Basta un capo che prometta la riduzione di questi doveri – più evasione fiscale, più prescrizioni, sanatorie edilizie, ecc.), che subito il suo gradimento si gonfia. La democrazia diretta è preziosa se è complementare a quella mediata; altrimenti è rissa tra fazioni a caccia di privilegi, insofferenti alla democrazia.

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