Il 2 giugno fra laici e cattolici

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Sarà un 2 giugno particolare, quello che stiamo per vivere. Una Festa della Repubblica caratterizzata dal dolore per ciò che è avvenuto di recente in Emilia Romagna, dove la furia della natura si è abbattuta come una mannaia su un territorio già provato da disastri precedenti, su tutti il terremoto del 2012, e dove il Capo dello Stato ha mostrato la propria attenzione alla cittadinanza con una visita adeguata per modalità e tempistiche. Una Festa della Repubblica segnata, inoltre, dalla presenza al governo di una destra che non sembra voler rispettare fino in fondo i valori costituzionali, intenzionata com’è a modificare la nostra Carta senza ascoltare nessuno e, anzi, basandosi sul trasformismo e sulla furbizia di quanti, non solo nelle file della maggioranza, antepongono i propri interessi di bottega alle esigenze del Paese.
Una Festa della Repubblica afflitta, infine, dalle disuguaglianze, che sempre più numerose squassano i nostri territori e rendono fragile la nostra comunità, approfondendo il solco fra chi ha e chi non ha, chi è nato in alto e chi è nato in basso, chi vive nelle aree più forti e benestanti e chi ha avuto la sfortuna di nascere alla periferia dell’impero. Misure come il sostanziale smantellamento del Reddito di cittadinanza e l’esaltazione di un’idea di lavoro che non pone al centro la persona ma unicamente il profitto a vantaggio di pochi, peraltro dei soliti noti, ci hanno riportato ad anni che speravamo di esserci lasciati definitivamente alle spalle, a una concezione muscolare del governo, a una visione della collettività che tende a escludere i più deboli, a un’idea di società e di mondo che non è solo sbagliata ma addirittura pericolosa, poiché distrugge i capisaldi del nostro stare insieme. Mai come ora, dunque, è importante alzare la testa, ribadire l’importanza dei principî costituzionali, battersi al fianco di chi pone la dignità del lavoro al centro del proprio progetto politico e civile, sostenere l’azione del Presidente della Repubblica a tutela di una comunità lacerata e che qualcuno vorrebbe dividere in fazioni in netto contrasto fra loro, battersi contro tutte le forme di censura e bavaglio e tenere unita la comunità. Dividersi sulle proposte e le soluzioni per il futuro, infatti, va benissimo: siamo sempre stati contrari all’idea balzana secondo cui non esisterebbero più destra e sinistra. Ma i valori di fondo non possono essere messi in discussione, altrimenti viene meno l’idea stessa di solidarietà nazionale, la necessaria cooperazione fra le parti, la collaborazione fra gli schieramenti sulle questioni essenziali e, di conseguenza, la legittimazione reciproca che è alla base della convivenza democratica.
Non siamo nati ieri. Sappiamo benissimo che tutto questo è già accaduto in trent’anni di berlusconismo e tristi epigoni, sappiamo che l’attuale esecutivo altro non è che l’emblema del nostro declino e sappiamo anche che se siamo ridotti così, è perché non possiamo contare su un’opposizione all’altezza. Sappiamo tutto questo, ma non ci rassegniamo. E non ci rassegniamo perché sarebbe una resa, cosa che non possiamo permetterci, specie di fronte alle tragedie che stanno devastando l’Europa e l’intero pianeta.
A tal proposito, ci sia consentito di rendere omaggio a due grandi figure del mondo ecclesiastico, diversissime fra loro ma accomunate dalla medesima visione del mondo. Parliamo di papa Giovanni XXIII, di cui il 3 giugno ricorre il sessantesimo anniversario della morte, e di don Tonino Bello, di cui abbiamo celebrato, lo scorso 20 aprile, il trentennale della scomparsa. Dalla “Pacem in Terris” al Concilio Vaticano II, il “Papa buono” è stato il simbolo di un’umanità che seppe venirsi incontro persino nei giorni tremendi della crisi dei missili a Cuba, peraltro in un contesto globale già minato dall’acuirsi della guerra del Vietnam. Quanto a don Tonino, era un altro sacerdote di strada, un altro di quei predicatori da marciapiede la cui unica arma era il Vangelo. Ebbene, queste due figure rientrano, a pieno titolo, nel nostro pantheon repubblicano, trattandosi di personalità che hanno onorato il concetto nobilissimo di primato dell’essere umano e con esso la nostra Costitizione, che questo principio lo ha posto al centro di ogni suo articolo. Difendiamolo, quindi, prima che sia troppo tardi, prima che di questa nostra Repubblica non rimanga più nulla, se non il rimpianto per ciò che da troppo tempo abbiamo smesso di essere.

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