Un singolare esempio di politica dell’oblio: “Gli spettri del Congo” di Adam Hochschild

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Nel momento esatto in cui Adam Hochschild scopre l’esistenza del movimento mondiale contro la schiavitù in Congo – di cui ha fatto parte, tra gli altri, lo scrittore Mark Twain – si chiede come sia stato possibile che ne fosse rimasto tanto a lungo all’oscuro. Una pratica che aveva mietuto da cinque a otto milioni di vittime. Le statistiche sugli stermini sono spesso difficili da confermare. Se la cifra esatta fosse anche solo la metà il Congo sarebbe comunque stato il teatro di una delle maggiori stragi dell’epoca moderna. Eppure non ha mai fatto “tanta notizia”.

Gli spettri del Congo di Adam Hochschild è la storia di quel movimento, del selvaggio crimine che ne rappresenta il bersaglio, del lungo periodo di esplorazioni e conquiste che lo precedette e del modo in cui il mondo ha dimenticato, o ignorato, una delle grandi stragi del recente passato.

Dietro l’entusiasmo europeo si celava non di rado la speranza che l’Africa diventasse una fonte di materie prime per la Rivoluzione industriale. Ma agli europei piaceva pensare di avere motivazioni più nobili. In particolare, i britannici credevano fermamente di dover portare la “civiltà” e il cristianesimo agli indigeni.

L’autore sottolinea come una delle esperienze più inquietanti per chi si recava nell’allora Unione Sovietica era passeggiare lungo le ampie gallerie del Museo della rivoluzione in via Gorky, a Mosca. Vi erano esposte centinaia di fotografie e dipinti di rivoluzionari con il colbacco che facevano capolino da dietro barricate coperte di neve, innumerevoli fucili, mitragliatrici, bandiere e vessilli e una vasta collezione di altre reliquie e documenti, senza che vi fosse alcuna traccia dei venti milioni di cittadini sovietici morti nei sotterranei delle esecuzioni, durante carestie provocate dall’uomo e nei gulag.

Oggi quel museo moscovita ha subito cambiamenti che i suoi creatori non avrebbero mai immaginato. All’altro capo dell’Europa, invece, ce n’è uno che non è cambiato affatto: il Museo reale dell’Africa centrale e Bruxelles. In nessuna delle venti ampie gallerie del museo ci è traccia dei milioni di congolesi rimasti vittime di una morte crudele. E Bruxelles non è la sola.
A Berlino non vi sono musei o monumenti in ricordo degli herero massacrati, mentre a Parigi e Lisbona nulla rievoca il terrore della gomma che decimò metà delle popolazioni di alcune zone dell’Africa francese e portoghese.

Il Congo diventa nel libro di Hochschild un esempio di politica dell’oblio. Un simbolo, un faro che va a illuminare anche le altre innumerevoli “dimenticanze”.
Dopo aver letto Gli spettri del Congo viene naturale chiedersi quanto siamo diversi noi occidentali oggi, rispetto agli inglesi convinti di dover civilizzare il mondo.

Quella compiuta da Adam Hochschild è un’approfondita e dettagliata analisi di un sostanzioso periodo storico, che inizia sul finire del 1800, e riguarda molteplici popoli dislocati in varie parti del mondo, uniti da una linea rossa che li lega insieme e, al contempo, li divide. Un libro che racconta la Storia che molti non hanno mai voluto vedere e altri hanno preferito dimenticare. Un libro tanto cruento e brutale quanto veritiero e necessario.

Il libro

Adam Hochschild, Gli spettri del Congo. La storia di un genocidio dimenticato, Garzanti, Milano, 2022.
Titolo originale dell’opera: King Leopold’s Ghost.
Traduzione dall’inglese di Roberta Zuppet.

L’autore

Adam Hochschild: è uno scrittore, giornalista e storico statunitense. Con Gli spettri del Congo ha vinto il Duff Cooper Prize.


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