Minculpop 2.0

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Mentre ancora qualche opinionista a gettone girovagando nei talk show finge di domandarsi se ci sia un disegno della destra (che ribadiamo in questo caso essere essenzialmente Fratelli d’Italia con Giorgia Meloni in prima linea) per riscrivere la storia del paese e cambiarne la cultura (e qui si ride inevitabilmente), fortunatamente ci sono loro, i massimi esponenti della destra, che le cose effettivamente le dicono in chiaro e organizzano raduni sui quali fare una valutazione è davvero molto semplice, visto che, nell’ultimo caso, lo hanno chiamato “riscrivere l’immaginario italiano”…

Dedicandoci per una volta a questo secondo aspetto, e cioè a come il Minculpop di mussoliniana memoria sia stato riscritto soprattutto dai ministri della cultura e dell’istruzione (e del merito) ,  sembra divertente dare un’occhiata ai personaggi che si muovono e anche scompostamente in questo nuovo teatrino del potere. Fermo restando però, che purtroppo non c’è niente da ridere.

Occupare la Rai è l’obiettivo primario. E’ già occupata per almeno tre quarti dei suoi contenuti e ancora una volta impariamo a guardare ciò che va in onda tutto il giorno e non solo quel che è preceduto dalla sigla TG, dove comunque la destra vince 70 a 30, con tre testate televisive fragorosamente governative – TG1, TG2 e Rainews-  dove il pensiero è unico pur non essendo formalmente cambiato niente. Anche se l’ex del TG2 Sangiuliano parla di colbacchi nei corridoi e di giornalisti poliziotti, e nessuno ha il coraggio di una fragorosa risata.

Ma quel che ci aspetta è una Rai dove si alterneranno i Pino Insegno con il Bagaglino, dove il novantenne Pingitore sarà di fatto il direttore artistico, un musicista evaporato come Morgan proporrà nuove colonne musicali, torme di cinguettanti pseudo soubrette invaderanno ancora di più le mattinate e i pomeriggi  con ricette delle nonne e luoghi comuni e il rimpianto per i nani e le ballerine di craxiana memoria diventerà struggente. Ma fin qui si può e forse si deve ridere.

Il problema è che il disegno è forte e si basa sulla certezza che ci siano cinque anni per attuarlo in assenza di opposizione. La Rai sarà la prima, ma molto si punta sull’occupazione dell’industria cinematografica, sull’arte contemporanea, sul teatro. Sanno che in questi campi sarà più dura, ma quando i fondi per realizzare il prodotto saranno solo a disposizione del governo cosa accadrà? Certamente i produttori indipendenti non si arrenderanno e sapranno fare la loro parte come sempre, magari dall’estero ci arriverà qualche aiuto, ma il progetto è pericoloso e tutte le opposizioni non lo stanno minimamente prendendo in considerazione.

Certo, di fronte a quello che potrebbe diventare il più grande fallimento italiano del dopo guerra, cioè la non utilizzazione del PNRR, tutto passa in seconda linea. Ma al dramma della destra italiana al potere, questa destra, siamo arrivati in 30 anni di sottovalutazione dei segni e dei segnali. Sangiuliano non è Galeazzo Ciano, la Rai non è l’Eiar, il cinema non è il Luce, ma stiamo attenti, perché già una volta non abbiamo capito che la TV commerciale stava cambiando il nostro DNA, ma è accaduto. E gli italiani oggi sono diversi, diversi dentro, perfino a prescindere da come votano.

 


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