Chi ha paura di ChatGPT? L’Intelligenza Artificiale a una svolta

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A Google è scattato l’allarme rosso quando hanno saputo che in soli cinque giorni ChatGPT aveva superato il milione di utenti. ChatGPT è il sistema di intelligenza artificiale (AI) che simula il pensiero umano, lanciato da OpenAI il 22 novembre 2022. ChatGPT crea, contestualizza e interpreta criticamente i contenuti che gli vengono proposti ingaggiando un dialogo serrato con l’interlocutore; pertanto potrebbe, altrettanto agevolmente diventare anche un potente motore di ricerca in grado di scalzare Google dalla sua posizione dominante. ChatGPT parla tutte le lingue (lo stile del suo italiano è impeccabile), affronta con cognizione di causa qualunque argomento (dalla lavastoviglie che non funziona alla Fenomenologia dello spirito di Hegel) poiché ha assimilato una parte consistente di tutti i contenuti presenti su internet; talvolta può risultare approssimativo, può anche dare risposte incongrue, come tutti noi; tuttavia, bisogna tener conto che le prime due versioni, GPT-1 e 2- erano talmente arretrate rispetto a quella attuale (GPT3,5) che neanche gli stessi ricercatori del settore immaginavano di poter ottenere risultati così sbalorditivi in così poco tempo. Di fatto, questa crescita sorprendente dell’intelligenza da una versione all’altra è direttamente proporzionale al numero di “neuroni” che interagiscono all’interno della rete neurale.

Che cos’è una rete neurale? Possiamo approfittare della cortesia di chatGPT (https://chat.openai.com/auth/login) e chiedere a lei/lui stesso di rispondere con parole semplici: “Ogni neurone riceve delle informazioni da altri neuroni o dall’ambiente esterno attraverso dei collegamenti chiamati sinapsi, effettua dei calcoli e invia le informazioni ad altri neuroni. In questo modo, i neuroni lavorano insieme per elaborare i dati e prendere decisioni”. Di conseguenza, quanto più alto è il numero di neuroni – in sostanza i computer della rete -, tanto più GPT sarà intelligente. Osservando il grafico che misura l’incremento delle prestazioni di GPT, c’è da supporre che le versioni successive supereranno il test di Turing e le sue varianti più sofisticate anche perché OpenAI nel 2022 ha lanciato DALL-E2 (non a caso, si pronuncia “Dalì), un’intelligenza artificiale che riconosce, crea e manipola immagini e che prima o poi avrà anche una percezione visiva del mondo circostante e dei suoi interlocutori (https://openai.com/dall-e-2/).

Ci sarà tempo per interrogarsi sull’essenza dell’AI, su questioni come la coscienza e l’autocoscienza, l’intenzionalità, la libera scelta, l’emotività e sul definitivo “disincantamento del mondo” annunciato da Max Weber esattamente un secolo fa. Oggi, maiora premunt; perché se un gigante come Google si mostra inquieto, vuol dire che il timore ben presto si diffonderà nei vari comparti della società, a partire dal mondo della comunicazione e delle attività intellettuali. Giornalisti, scrittori, poeti, traduttori, musicisti, pittori, grafici e designer, professori e studenti, dalle primarie all’università, e una buona parte dei colletti bianchi saranno costretti a ripensare radicalmente al modo in cui hanno finora svolto il loro lavoro e i loro studi.
Ravvisare in un software, accessibile gratuitamente on line, capacità e competenze potenzialmente superiori a quelle che le persone comuni hanno acquisito in decenni di studio e di esperienze, susciterà da una parte meraviglia, dall’altra un certo pathos del disincanto (la mente è tutta qui?) ma anche tendenze luddiste per il fondato timore di vedere ridimensionato il proprio lavoro o addirittura di perderlo; uno sgomento analogo a quello del contadino salariato al tempo della prima rivoluzione industriale quando vide apparire nei campi le prime trebbiatrici a vapore. Nell’Ottocento, per usare le parole di Marx, “Ci volle del tempo ed esperienza affinché l’operaio apprendesse a distinguere le macchine dal loro uso capitalistico, e quindi a trasferire i suoi attacchi dal mezzo materiale di produzione stesso alla forma sociale di sfruttamento di esso”. Nel XXI secolo i conti bisognerà farli in fretta perché questo cambio di paradigma nel rapporto uomo-macchina, soprattutto nel settore dell’informazione, è in atto da tempo, in forma strisciante e, tra non molto, si manifesterà in tutta la sua radicalità, nel bene e nel male, sapendo che la forma sociale di sfruttamento, pur con tutte le attenuanti, è sostanzialmente la stessa di duecento anni fa.
Occorre aprire, all’interno del discorso pubblico, occasioni di confronto politico per interrogarsi su chi ha – e dovrebbe avere – il comando e il controllo sui sistemi d’intelligenza artificiale, i loro algoritmi, i filtri di natura etica e ideologica di cui, peraltro, sono già provvisti (fortunatamente GPT, per ora è democratico). Al tempo stesso, bisognerebbe interrogarsi sullo stato dell’intelligenza umana perché se una macchina ha imparato a simulare il nostro modo di pensare questo potrebbe significare che troppi comportamenti umani – compresi alcuni lavori intellettuali – per convenzione o per costrizione, sono diventati meccanici, prevedibili, ripetitivi: una caratteristica tipica delle macchine, anche quelle meno intelligenti.


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