Lettera aperta a Enzo Biagi a quindici anni dalla scomparsa 

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Caro Enzo, che tristezza questo nostro tempo! Che tristezza questa stagione colma di incertezza, disperazione, rabbia, sconforto, paura e populismo! E quanto ci sembra lontana la tua lezione di dignità, passione civile e buon giornalismo, sempre dalla parte della cittadinanza, in contrasto con ogni potere e, soprattutto, con i suoi abusi!
Quindici anni fa te ne andavi, al termine di un’esistenza straordinaria, lunga ottantasette anni, durante la quale non ti sei mai risparmiato e ci hai regalato articoli intensi, libri bellissimi e, più che mai, una miriade di interviste che costituiscono altrettante pagine di Storia. Sì, perché ovunque ci fosse una storia da raccontare, tu non mancavi mai. Non ti risparmiavi al cospetto di nessun orrore, di nessuna barbarie, di nessuno strazio; non ti risparmiavi quando si trattava di un conflitto o di un abisso del mondo e non facevi mancare mai la tua voce in difesa dei più deboli. Non esitasti nemmeno a recarti a Korogocho, con il cuore già malato e ottanta primavere sulle spalle, come non ti risparmiasti quando si trattò di visitare la Serbia nei giorni della guerra e la voragine di Ground Zero in seguito alla tragedia dell’11 settembre. Ci manca, dunque, il tuo stile, la tua lucidità d’analisi, la tua limpidezza di scrittura ma, più d’ogni altra cosa, ci manca la tua umanità, il tuo saper trattare chiunque con rispetto, il tuo saperti porre sempre dalla parte degli sconfitti, il tuo amore per il prossimo e la tua gentilezza. Ci manca l’idea che non si debba fare del male a nessuno e si debba stare sempre attenti alle parole, noi che ne abbiamo fatto il nostro lavoro, per non ferire l’interlocutore e non generare polemiche e confusione inutile. E ci manca la tua profonda onestà intellettuale, quella correttezza figlia anche dell’esperienza partigiana dei vent’anni, di quelle brigate Giustizia e Libertà che sono state, per tutta la vita, il tuo unico, vero partito.
Che tristezza, caro Enzo, questo giornalismo contemporaneo, pieno di personaggi buoni per tutte le stagioni, in cui non c’è quasi mai passione e ancor meno rispetto, in cui il coraggio latita e l’intraprendenza viene il più delle volte punita anziché premiata! Che tristezza questo servizio pubblico che fatica a ritrovare il proprio ruolo e la propria missione, quando ce ne sarebbe più che mai bisogno, al cospetto di uno sconvolgimento globale destinato a cambiare per sempre il volto del pianeta! E che tristezza pensare a ciò che avresti detto e scritto, a come avresti seguito la guerra in Ucraina e all’attenzione che sicuramente avresti destinato ai drammi di entrambi i fronti: i civili ucraini e i giovani soldati russi mandati allo sbaraglio, un orrore senza fine che, purtroppo, viene raccontato spesso con eccessi propagandistici e scarsa attenzione all’unicità di ciascun essere umano.
Caro Enzo, avevi capito tutto già il 20 luglio 2001, data fatidica, e ci dicesti, sostanzialmente, in un’intervista all’Unità, quale sarebbe stata l’amara evoluzione delle vicende italiane.
In quei giorni, il nostro Paese è cambiato per sempre e non ti fu permesso di raccontarlo. Da allora ci sentiamo orfani, apolidi, estremamente fragili e senza di te anche privi di un punto di riferimento essenziale. Nel nostro piccolo, su queste colonne, continueremo a impegnarci per garantire alla cittadinanza il diritto ad essere informata, in nome dell’articolo 21 della Costituzone, dei nostri valori e dei principî che tu per primo ci hai insegnato e ai quali siamo profondamente legati, non foss’altro che per contrastare una destra che dà l’impressione di non avere l’anti-fascismo come propria bussola e di non considerare intoccabili i fondamenti della nostra Costituzione nata dalla Resistenza.
Tu hai scritto, in un libro dedicato ai tuoi quattordici mesi da partigiano, che ci siamo salvati una volta e ci salveremo ancora. Ne sono convinto anch’io ma, lasciamelo dire, sarà dura!

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