Il corpo, lo schermo e il Potere

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“Esterno notte-Prima parte”, di Marco Bellocchio, Ita-Fra, 2022. Con Fabrizio Gifuni, Toni Servillo, Fausto Russo Alesi, Margherita Buy.

Bellocchio getta, per la seconda volta, dopo “Buongiorno, notte”, uno sguardo folgorante su un episodio cruciale della Storia del nostro Paese, il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro.

Intriso di un senso dell’umano che tracima da ogni fotogramma, la prima parte del nuovo film dell’autore piacentino si muove tra pubblico e privato nel tentativo, grandemente riuscito, di raccontare l’eterno conflitto tra Potere, necessario e spietato, e Individuo, stretto nella propria essenza morale. Le figure di Moro, Cossiga e Paolo VI, protagonisti dei tre episodi presentati ad oggi al pubblico, sembrano immersi in una realtà che decide tutto per loro. I loro tormenti e le loro sofferenze diventano la rappresentazione, conscia e inconscia, dell’Uomo travolto dal suo stesso destino, cui nemmeno la psicanalisi riesce a dare alcuna spiegazione. Tutta la narrazione è intrisa di simboli, matafore e fantasmi mai domi, dentro una spiritualità così densa che fa di Bellocchio un artista visivo degno dell’Umanesimo invocato al cinema da Roberto Rossellini.

Moro diventa, nella realtà cinematografica, più reale di quella reale, il Cristo che si fa Uomo votandosi al sacrificio estremo, elevandosi dalle miserie di chi lo circonda, a costo della propria vita, che pure tanto ama. In questo senso, Bellocchio firma uno dei suoi film più teneri ed estremi, completamente diverso dal succitato precedente, in cui al centro dell’analisi bellocchiana era il punto di vista dei brigatisti rossi coinvolti in questa tragica vicenda, raccontati nel loro agitarsi tra ideologia delirante e sensi di colpa umani e ineludibili. In queste prime tre parti di “Esterno notte”, la figura dello statista sembra allungarsi su tutto il contesto che lo comprende, fino a diventare ombra o luce su azioni e pensieri che gli si muovono intorno. Bellocchio è attento al corpo di Moro, costringe Gifuni quasi all’imitazione, tanto è importante per la messa in scena del suo dramma.

L’uccisione, la fine della vicenda è già nota a noi spettatori, e ogni momento del film è così agito dal “fantasma” del politico democristiano, che appare anche in situazioni oniriche (come nell’incipit che lo vede sopravvissuto e visitato in ospedale dai suoi preoccupati “amici” di partito), come in un “Amleto” dei nostri giorni. Ogni gesto, ogni sguardo, la stessa postura di Moro sono segnali dell’umanità destinata ad essere distrutta ed annullata. E quanto più Bellocchio lo sottolinea tanto più lo incide nei nostri occhi e nella nostra memoria. Insieme a Moro è, dunque, lo spettatore il vero protagonista del film di Bellocchio. Lo sguardo sullo schermo cattura ogni sfumatura della futura vittima, come in un film di Hitchcock, dentro quel terribile gioco di chi sa già ciò che accadrà al protagonista prima ancora di lui. Tutto si esalta così ai nostri occhi. Ad ogni apparizione di Moro lo schermo sembra volercelo donare, consapevole della sua tragica e ineluttabile fugacità. La pietas diventa, dunque, la dimensione primaria di questa prima parte di un’opera che aspettiamo ancora di vedere nella sua completezza ma già destinata a fare la storia del nostro cinema.


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