Boris Pahor, una battaglia lunga un secolo 

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Boris Pahor ha combattuto una battaglia lunga oltre un secolo. Centootto anni di impegno politico e civile, dopo aver conosciuto la violenza del fascismo contro la popolazione triestina di lingua slovena, dopo aver vissuto sulla propria pelle l’inferno dei campi di concentramento e dopo aver subito l’ostracismo di un Paese che non ha mai davvero accettato le “mutilazioni” che hanno fatto seguito alla sconfitta nella Seconda guerra mondiale.
Nella sua biografia, nella sua storia intensa e straziante e, più che mai, nelle sue opere è racchiuso il tormento del Nocecento, con i suoi orrori, le sue sconfitte e la sua rinascita. Eppure, Boris Pahor, intellettuale di frontiera, triestino e mitteleuropeo di formazione, era uno di quegli italiani da esportazione che ci rendono orgogliosi nel mondo, capace di raccontare con spirito internazionale una storia troppo vasta per essere incasellata nelle nostre analisi da cortile, nelle nostre piccole faide, nei nostri scontri pseudo-politici che non racchiudono al proprio interno alcuna passione, se non quella per un consenso effimero.
Siamo grati a Pahor per non essersi mai arreso, per aver sempre sfidato a viso aperto, con la sua vicenda complessa e terribile, le ritrosie di un’Italia che non ha mai accettato di fare i conti con il suo passato, di riconoscere le proprie colpe e di condannare fino in fondo lo scempio compiuto dal nascente regime mussoliniano nei confronti della minoranza slovena, con il rogo della Casa del Popolo (Narodni Dom) del ’21 a rappresentare il culmine della barbarie.
Pahor è stato un testimone instancabile, sempre pronto a rivolgersi ai giovani, a raccontare, a spiegare e ad aiutarci a comprendere il passato per affrontare il presente e immaginare il futuro.
Lo abbiamo capito tardi, non lo abbiamo onorato come avremmo dovuto ma ora ci rendiamo conto di ciò che abbiamo perso, di quanto sia stata grande la sua azione e di quale incredibile eredità ci abbia lasciato.
Nel suo secolo di vita sono racchiuse alcune delle risposte ai nostri perché, le ragioni profonde del nostro stare insieme e l’esile speranza che ci resta di non ripetere gli errori, e soprattutto i crimini, di un passato imbarazzante.
Addio con profonda tristezza a questo custode della memoria, a questo esempio di umanità e bellezza interiore, a questo scrittore che ha saputo illuminare i punti oscuri di tante vicende non ancora scandagliate a dovere. Addio a un costruttore di ponti e di pace. Per fortuna, ci lascia tanti capolavori destinati a restare.

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