Alfredo Reichlin e la sinistra sotto le macerie 

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Cinque anni fa ci diceva addio Alfredo Reichlin, storico dirigente del PCI, uomo di sinistra a ventiquattro carati, intellettuale di matrice ingraiana, fra i più stretti collaboratori di Berlinguer e direttore dell’Unità in due stagioni decisive per la storia d’Italia: il finire degli anni Cinquanta, dopo la lunga direzione proprio di Ingrao, e sul finire degli anni Settanta, nei giorni tragici del delitto Moro e della svolta che avrebbe cambiato per sempre il nostro Paese. Reichlin, del resto, con le sue origini aristocratiche di matrice svizzera e la sua veracità tipicamente pugliese, era l’uomo dei momenti difficili, delle fasi di transizione, delle grandi svolte. Era l’uomo giusto per affrontare la violenza della celere sotto il governo Tambroni e la furia stragista dell’80 a Bologna, prima della Marcia dei quarantamila che avrebbe mutato per sempre i rapporti di forza fra padronato e mondo sindacale e operaio.
Era un politico intellettuale o, per meglio dire, un grande intellettuale prestato alla politica, un galantuomo d’altri tempi ma, in realtà, modernissimo, sempre in grado di comprendere la fase storica e analizzarla con riflessioni originali e costruttive. Non a caso, fu lui a metterci in guardia, negli ultimi anni di vita, sul fatto che con Renzi non sarebbe finita la storia, perché la storia non finiva mai. Fu lui ad analizzare con attenzione l’esito del referendum del 2016, quel voto per classi che anticipava le tendenze in atto, spalancando le porte al cosiddetto “populismo” che avrebbe fatto furore nei due anni successivi. E fu sempre lui, pochi giorni prima di andarsene, a consegnarci un testamento spirituale e politico di rara lucidità e bellezza, auspicando che la sinistra non restasse sotto le macerie. Erano i giorni della scissione bersaniana dal PD renziano, della grande frattura a sinistra, una delle tante, dolorosissima ma purtroppo necessaria, e dell’avanzata della destra, irrefrenabile dopo la messe di errori compiuti dai governi Renzi e Gentiloni in una delle legislature più imbarazzanti che si ricordino.

Mi torna in mente la nascita di Articolo Uno, la prima assemblea al Tempio di Adriano, il giorno dopo la sua scomparsa, la tentazione di annullarla per elaborare il lutto, ciascuno in silenzio, e il desiderio di trovarsi, invece, insieme perché lui avrebbe voluto così, perché per Reichlin la comunità veniva prima di tutto, l’unità era una ragione di vita, i compagni e le compagne erano la sua stessa vita e l’idea di annullare un’assemblea non era contemplata, in quanto sapeva bene quanto fosse importante condividere la gioia e il dolore, la poesia e lo strazio, sentendosi sempre e comunque parte di un’unica famiglia.
Di Alfredo Reichlin ci mancano la saggezza, la generosità d’animo, la bellezza interiore, il coraggio e la lungimiranza, lo sguardo costantemente rivolto al futuro, l’ironia tagliente e la comprensione dei fenomeni, prima e meglio degli altri, senza mai vantarsi del suo innegabile valore.

Un pomeriggio, nel corso di una riunione per una rivista on-line che stavamo lanciando, nell’ambito dell’allora sinistra dem, Reichlin ci indusse a riflettere sul fatto che i ragazzi e le ragazze italiane emigrassero all’estero in cerca di un futuro migliore. Aveva ottantanove anni ma la sua preoccupazione era rivolta a noi, al nostro domani e a un’Italia nella quale faticava sempre più a riconoscersi, lui che da ragazzo era stato partigiano e gappista nella Roma di Kappler e che non riusciva proprio a rassegnarsi al declino di un’Italia che amava alla follia ma di cui vedeva anche tutti i limiti e gli aspetti negativi.
Alfredo Reichlin è stato sempre un uomo avanti, un uomo oltre. Comprendeva la forza motrice della storia e sapeva dove indirizzarla e come posizionarsi, senza mai indulgere ad alcuna forma di populismo o seguire le mode del momento.
Cinque anni dopo, in una delle fasi più drammatiche che si ricordino dal dopoguerra, quell’anziano signore che saliva sul palco e parlava con voce ferma ed estrema ricchezza culturale e argomentativa ci manca più che mai. Ora che avvertiamo un disperato bisogno di esempi e di modelli, ci è rimasta solo la sua eredità, per fortuna vastissima.

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