Pace: un’utopia da rendere concreta 

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Saremo in piazza domani, in tutta Italia, come ci siamo stati in questi giorni. Saremo in piazza, ancora una volta, per chiedere pace, diritti, giustizia, verità e democrazia. Saremo in piazza come nel 2001 e nel 2003, contro tutte le bombe, i cannoni e le violenze perché per noi non esistono guerre democratiche o civili e non esistono nemmeno “missioni di pace”. La guerra è guerra sempre ed è la stessa cosa a ogni latitudine. Vale per essa la definizione che Peppino Impastato dava della mafia: “una montagna di merda”, sotto la quale rimangono intrappolati i popoli e le singole persone, oltre che case, sogni e speranze.
La pace è, oggi più che mai, un’utopia da rendere concreta: in Ucraina e in ogni altra parte del mondo. Per questo, proprio come nel 2003, manifesteremo con le nostre bandiere arcobaleno, con l’auspicio che la pressione dei cittadini possa ottenere qualche piccolo risultato o, quanto meno, far sentire ai governanti la voce di chi non si arrende alla barbarie.
Siamo coscienti delle difficoltà del Paese e anche dello sfarinamento del tessuto sociale, civile e politico. Sappiamo bene che le nostre possibilità di mobilitazione, anche a causa della pandemia ancora in corso, sono limitate. Avvertiamo, tuttavia, il dovere morale di esserci, ciascuno nella sua città, affinché nessun tentativo venga meno, nessun appello rimanga intentato e la nostra coscienza possa comunque essere a posto al cospetto di conseguenze che finirebbero col travolgere l’intera comunità, compresi noi ovviamente.
Manifestare per la pace, oggi, non significa schierarsi dalla parte di Putin, tutt’altro. Putin è un autocrate e un personaggio pericoloso per gli equilibri globali. Significa, semmai, chiedere all’Europa di esistere davvero, di porsi come forza di interposizione e di fare il possibile e l’impossibile affinché tacciano le armi, anche perché ne va della nostra stessa sopravvivenza. Non è solo una questione di approvvigionamento energetico ma anche di profughi, devastazione internazionale, disarticolazione di equilibri faticosamente conquistati e di incertezza che si somma ogni giorno a incertezza. È una questione globale che non può lasciarci indifferenti e per la quale siamo pronti a far sentire, civilmente, la nostra voce.
Non c’è dubbio che la storia non fosse finita dopo l’89: adesso, bontà sua, lo ammette persino Fukuyama. Non c’è dubbio che il mondo sia ormai multipolare e policentrico e che con questa realtà si debba fare seriamente i conti, al fine di favorire una coesistenza pacifica e all’insegna del rispetto reciproco fra i popoli. Non c’è dubbio che non sia più la stagione adatta ai rodomonti e ai prepotenti e che si debba mettere in guardia la popolazione dal rischio di un’escalation di violenza che potrebbe avere conseguenze imponderabili. E non c’è dubbio, infine, che la cittadinanza democratica debba tornare a fare la sua parte, inducendo anche e soprattutto le forze della sinistra a mobilitarsi e a porsi come obiettivo la costruzione di una piattaforma politica basata su multipolarismo e condivisione delle scelte in vista delle prossime elezioni.
Mentre scorrono davanti ai nostri occhi immagini orribili e devastanti, ci siamo ripromessi di non arrenderci di fronte all’abisso. Nel nostro piccolo, porteremo in piazza i nostri corpi e le nostre illusioni. Dare un orizzonte alla pace è nell’interesse di tutte e di tutti.

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