Accordi d’amore e di gelosia

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Mi sono alzato di buona lena; è il giorno buono; oggi mi ci metto; non mi lascio sfuggire questo che sento come uno dei “diecimila giorni” buoni che la vita mi dona (se continua così). Il compito di oggi: ascoltare e capire bene, una volta per tutte, gli accordi famosi e dibattuti, analizzati e tormentanti, gli accordi sospesi, fluttuanti sulla tonalità, quelli di tensione dissonante irrisolta, gli accordi impossibili. Ce ne sono tanti, ma due almeno condividono la fama, e sono quelli con cui voglio oggi confrontarmi: il celeberrimo del Tristano e Isotta (che ha reclamato più dedizione all’inchiostro – versato a fiumi – che all’orecchio) e quello meno celebre dell’Otello. Incuriosisce il fatto che il primo è il melodramma dell’amore assoluto, il secondo della cieca gelosia.

Su quello del Tristano ci sono libri interi; uno di Martin Vogel degli anni Sessanta poneva l’accordo alla base della crisi della teoria armonica. Appare all’inizio dell’opera e costituisce il leitmotiv melodico/armonico del protagonista. È infatti una meravigliosa invenzione che si arrampica, nota per nota, verso il culmine della sua indecisione armonica, sovrapponendo una terza minore, una quinta diminuita e una settima minore. Parlando di note, l’accordo è formato da fa, si, re# e sol#. Alcuni accennano a una “settima”, ma di specie particolare; tende a risolversi, certo, peccato che lo faccia modulando verso la dominante di una tonalità lontana. Ascolto e continuo a serbare lo stupendo senso di fluttuazione della prima volta in cui trangugiai il beverone del Tristano: nulla mi riguarda del senso che può avere, e su cui ne sono state dette di tutti i colori (superomismo? anelito di altezza? intimismo? nichilismo? snobismo?). Mi accorgo che mi basta continuare a sentirlo e basta. Ossessione wagneriana, certo, ma quanto bella. Tanto che altri glielo copieranno: Tchaikovsky nel primo movimento della sesta sinfonia Patetica, Brahms nel primo della Quarta, Bruckner nel finale del primo movimento della quarta Romantica e ovviamente Richard Strauss in Morte e trasfigurazione, e dico “ovviamente” perché cosa di meglio di Strauss per riprendere sonorità wagneriane?

L’accordo che apre l’Otello di Verdi ebbe il suo momento di gloria in Italia, quando sollevò una polemichetta né grande né piccola, né clemente né drastica. Tutti giù a chiedersi che accordo fosse, a classificarlo nei modi più vari, per concludere che è che un accordo di undicesima di dominante, per altri una tredicesima che raccoglie i sette suoni della scala tonale. Non che sia chissà cosa, ma per Verdi – e per gli uditi dei verdiani d’epoca e di quelli d’antan – gran cosa lo fu: viene enunciato e poi nulla risolve, lasciando confuso il disegno armonico, una sorta di coloritura che resta in auge per decine e decine di battute. Rispetto all’accordo del Tristano non è gran cosa, ma devo dire che fa un bell’effetto, e nell’apoteosi porta diritto all’ingresso di Otello, che annuncia la battaglia essere vinta. Da chi? dall’armi e dall’uragano, cioè a dire da tutte le cose, da uomini e da procelle, da fatti umani e no. E per questo simbolo ci volevano proprio tutti quei suoni, tutti interi. Una tonalità sicura avrebbe altrimenti fatto illudere troppo l’uomo. Le battaglie si vincono anche grazie agli uragani.

Accordi d’amore e di gelosia


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