Zaki: resistere e lottare serve sempre

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Ora che Patrick Zaki sarà scarcerato, anche se non ancora assolto e benché permangano molte nubi sul destino di questo giovane, colpevole unicamente di aver commesso un reato di opinione, ossia un delitto che non esiste in alcuna democrazia, sarà bene ricordare tutti coloro che in questi anni ci avevano consigliato di lasciar perdere. Fosse la prima volta! È accaduto lo stesso dal ’47 in poi, dalla strage di Portella della Ginestra, per non parlare di piazza Fontana, piazza della Loggia, il treno Italicus, la stazione di Bologna e le molteplici vicende oscure che purtroppo scandiscono la travagliata storia di questo Paese. È accaduto sempre perché, purtroppo, esiste una borghesia parassitaria, un’informazione priva di passione e impegno civile, diremmo quasi di etica, e una vasta parte del mondo politico che hanno deciso scientemente di trasmettere alla cittadinanza il messaggio secondo cui resistere non serve a niente, lottare non serve a niente e meno che mai battersi per i propri diritti.
È vero l’esatto opposto, e me ne sono reso conto ancor di più quest’anno, rievocando i fatti di Genova, la “macelleria messicana” della Diaz, l’inferno di Bolzaneto: i nomi e i volti di coloro che dicono no e si battono per i diritti umani sono quasi sempre gli stessi, ricorrenti. Sono avvocati, magistrati, giornalisti e cittadini, declinando ogni categoria anche al femminile, che hanno a cuore la Costituzione e la sua attuazione pratica, che non si arrendono alla barbarie, che non si rassegnano a veder calpestata la dignità collettiva e che sono pronti a spendere tempo ed energie anche per il prossimo. Sono il motore di una Nazione in preda a una sorta di guerra civile, a un dissidio permanente tra fazioni in lotta per motivazioni oggettivamente futili, con una classe dirigente che ormai si commenta da sola e un mondo dell’informazione che ci mette del suo nell’alimentare il declino di un contesto già pericolante. Eppure, questa minoranza rumorosa, questo gruppo di persone che non si arrende e resiste con orgoglio, qualche volta, vince. È accaduto oggi in occasione della scarcerazione di Zaki, speriamo accada presto con la vicenda Regeni e poi con Rocchelli, Paciolla e tutte le altre vittime di violenza, orrore e morte sparse in giro per il mondo. Non è un caso, credetemi, se l’avvocatessa Alessandra Ballerini, attualmente legale della famiglia Regeni, sia stata anche una delle avvocatesse del Legal Forum nei processi legati al G8. Non è un caso se questa Italia meravigliosa sia ancora in piazza, pronta a battersi, a manifestare e a dire la propria quando tanti, troppi consigliano, invece, il silenzio. Perché il silenzio, e quest’Italia meravigliosa lo sa bene, è esso stesso complicità, è esso stesso barbarie, è esso stesso morte, in quanto copre i crimini, nega giustizia alle vittime e priva la comunità di quella voce indispensabile per farsi forza a vicenda e battersi in nome dei diritti, anche quando un singolo avvenimento non ci riguarda da vicino. Bisogna riprendere in mano don Milani e la sua riflessione sulla politica per comprendere il valore di queste mobilitazioni: “Il problema degli altri è uguale al mio: sortirne da soli avarizia, sortirne insieme è politica”. Il senso della lotta, pacifica e democratica, è racchiuso in quest’affermazione.

L’auspicio ora è di poter ricostruire anche una collettività politica degna di questo nome, perché senza politica non c’è democrazia e con istituzioni così fragili e screditate il rischio è che ogni sacrificio della comunità si riveli vano. Ma battersi è comunque necessario, sempre, anche quando sembra vano, come hanno fatto e continuano a fare i magistrati e le magistrate di Genova per riaffermare la forza del diritto sul diritto della forza, come ha fatto e continua a fare l’avvocatessa Ballerini, e non certo solo lei, come, nel suo piccolo, ha fatto e continua a fare la comunità di Articolo 21 dal 2002 in nome della libertà d’informazione. L’anno prossimo saranno vent’anni: pensavamo di poterci sciogliere rapidamente e invece oggi, guardandoci negli occhi, ci rendiamo conto che serviamo più di quando ci siamo costituiti. Vent’anni, millequaranta settimane, oltre settemila giorni e il dovere di andare avanti, affinché altri Regeni e altri Zaki, italiani e stranieri, abbiano voce, affinché le loro storie siano illuminate a giorno, affinché nessuno possa avere la giustificazione di non sapere e affinche i cittadini e le cittadine si vedano garantito il sacrosanto diritto a essere informati.
Nel finale de “I ragazzi della via Pal” si legge: ” I ragazzi avevano capito che era necessario lottare, a volte serenamente, e a volte com grande tristezza”. Per tutti i Zaki del mondo c’eravamo, ci siamo, ci saremo.

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