La sinistra esiste ancora ma deve ritrovare una ragion d’essere  

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No, la sinistra non è scomparsa. Data per morta in mille circostanze, è ancora viva e vegeta, capace di risollevarsi dopo anni di sostanziale assenza dalla scena politica e di destarsi dal torpore nel momento in cui se ne avverte maggiormente il bisogno, ossia al crepuscolo del neo-liberismo arrembante e nel momento in cui il mondo intero comincia a rendersi conto che questo modello sociale, economico e di sviluppo è ormai insostenibile. Lo si diceva già una ventina d’anni fa, ma chi sosteneva questa tesi, all’epoca, venne insultato, manganellato e posto ai margini, al punto che l’SPD del prode Schröder, nell’illusione di trasformare quello che allora era considerato il “malato d’Europa” in un paese virtuoso, varò le famigerate leggi Hartz sul lavoro, in nome delle Neue mitte e dell’Agenda 2010, con il brillante risultato di condurre il proprio partito alla disfatta e a non avere alcuna opportunità di vincere le elezioni per ben tre lustri. La Merkel, dal canto suo, ha governato più da sinistra che da destra, con politiche sensate sul piano interno e una discreta lungimiranza a livello internazionale, dimostrando affidabilità e tenuta nel lungo periodo e trasformando, lei sì, la Germania nella locomotiva del Vecchio Continente.

Spiace per alcuni noti soloni che imperversano sui principali giornali italiani, ma Olaf Scholz, non proprio un trascinatore di folle ma comunque un politico accorto e d’esperienza, non ha vinto spostandosi al centro bensì ponendosi in sintonia con le migliori politiche progressiste della Cancelliera uscente e riprendendo voti preziosi dal bacino della Linke, ossia dal partito che Oskar Lafontaine e Gregor Gysi avevano fondato nel 2007 per opporsi alla deriva terzaviista avviata da Schröder.
La sinistra, dal canto suo, dovrà riflettere su un risultato così negativo. Se dopo la pandemia e nel momento in cui dilagano le disuguaglianze e l’ingiustizia sociale, un soggetto politico quasi rivoluzionario non riesce a convincere gli elettori, significa che ha sbagliato qualcosa a livello comunicativo o, peggio ancora, che ha dato l’impressione di costituire una mera testimonianza e non una forza in grado di competere realmente per provare a modificare lo stato delle cose.

Non possono non preoccuparci, poi, alcuni dati inquietanti. I Verdi della Baerbok, nonostante la presenza di Greta Thunberg a Berlino nell’ultimo venerdì prima del voto sono andati assai peggio del previsto, fermandosi sotto il 15 per cento e dimostrando di essere un ottimo soggetto tematico ma non una forza in grado di competere per esprimere, almeno per il momento, la guida del Paese. L’estrema destra di Alternative fur Deutschland si ferma all’11 per cento, d’accordo, ma otto anni fa non era entrata neanche in Parlamento mentre adesso ha un peso stabile a due cifre, con punte elevate in Sassonia e in alcune zone dell’Est, a dimostrazione di quanto sia ancora presente l’eco delle dissennate politiche di Schröder, con il suo elogio del precariato e della deregolamentazione disumana. Quanto ai liberali, sarà bene tener presente che si tratta di un partito ultra-rigorista e molto pericoloso per il futuro dell’Unione Europea, essendo inclini a predicare austerità e un rigorismo dissennato, ossia le ricette che disintegrarono la Grecia nei primi anni dello scorso decennio e che potrebbero provocare conseguenze atroci anche per noi qualora dovessero essere riproposte, soprattutto se si dà un’occhiata al nostro esorbitante debito pubblico e alla nostra cronica instabilità politica.

Passeranno alcuni mesi prima di vedere il nuovo governo, a dimostrazione che nei grandi paesi europei non è per nulla vero che “la sera delle elezioni si sa chi ha vinto” e che la mediazione politica, se seria e costruttiva, richiede tempo e molta cautela. Per quanto concerne, invece, l’altro mantra dei commentatori nostrani, il centro, grande o piccolo che sia, è morto e sepolto, come conferma la crisi post-Merkel della CDU di Laschet, salvata dal tracollo giusto dalla sua componente bavarese, e non sarà certo la riproposizione del blairismo a dare alla sinistra nuova linfa.

Parlando a nuora perché suocera intenda, se la sinistra italiana pensa di affidarsi nuovamente all’uomo solo al comando e altre amenità, può tranquillamente rinunciare in partenza a presentarsi alle elezioni. Se, al contrario, vuole avere la concreta possibilità di governare in futuro, deve prendere atto che oggi è necessario un cambiamento radicale, un nuovo paradigma economico, una visione della società letteralmente opposta rispetto a quella che ha egemonizzato gli ultimi tre decenni e una comprensione di fenomeni mille volte più vasti dei nostri angusti confini nazionali: dall’Afghanistan alla crisi ambientale, che non può più essere derubricata ad aspetto secondario. Serve insomma un’alleanza sociale senza precedenti e zero effetti speciali, altrimenti l’unico risultato sarà quello di svuotare sia le piazze che le urne.

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