Gli omicidi degli anni ’80 da Mattarella a La Torre sono frutto di una stessa matrice

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Gli omicidi politici eccellenti degli anni Ottanta in Sicilia, da Piersanti Mattarella a Pio La Torre, sono frutto di una stessa matrice, “con dei mandanti sicuramente all’interno della mafia, oltreché ad altri mandanti evidentemente esterni”: E gli esecutori materiali vanno ricercati tra i terroristi neri, già condannati per la strage della stazione di Bologna.
Le parole di Giovanni Falcone alla Commissione parlamentare antimafia in missione il 22 giugno del 1990 a Palermo, rappresentano un pezzo di storia che per decenni è rimasto secretato e che ora, grazie alla richiesta dell’Associazione dei cittadini contro le mafie e la corruzione, subito accolta dal presidente della Commissione antimafia Nicola Morra, può essere liberamente consultato. Le sue sono argomentazioni importanti che si inseriscono due anni prima della strage di Capaci e che permettono di capire su cosa stava lavorando Falcone. Oltre che sugli omicidi eccellenti, vi è tutto un discorso estremamente interessante sulla spartizione degli appalti, in nuce quello che poi diventerà il famoso fascicolo “Mafia e appalti”.
Partiamo dagli omicidi.
Falcone parla a lungo delle ipotesi investigative relative all’omicidio di Piersanti Mattarella, fratello dell’attuale Presidente della Repubblica.
Responsabili, secondo quanto emerso dalla indagine, sarebbero Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini, i terroristi neri condannati per la strage della stazione di Bologna.
A dirlo ai magistrati è il fratello di uno dei due, Cristiano Fioravanti. Tuttavia proprio in quel periodo compare un pentito, che sull’omicidio Mattarella tenta di depistare gli inquirenti, indicando come esecutori killer di mafia. Un tentativo di depistaggio che porta Falcone a una valutazione: “Si è rafforzata perciò la convinzione di seguire la pista del terrorismo nero quale esecutore materiale”.
Le modalità dell’omicidio sono riconducibili a un delitto compiuto da terroristi, spiega il magistrato, che sottolinea come “sotto il profilo della compatibilità fra l’omicidio mafioso affidato a personaggi che non avrebbero dovuto avere collegamenti con la mafia è emersa una realtà interessante e inquietante”.
Ed è proprio qui il punto significativo della questione: come nasce l’omicidio Mattarella?
Primo presupposto: quell’omicidio “non avrebbe potuto essere consumato senza il benestare di Cosa nostra”, nel senso che “non interessava a tutti più di tanto che rimanesse in vita”, e qui l’elemento mafioso. Ma non fu solo un omicidio di mafia. “Mi consenta di dire che ciò è assolutamente impossibile – è categorico Falcone – Perché l’uccisione di Mattarella presuppone un coacervo di convergenze e di interessi di grandi dimensioni”.
Falcone rivela poi che stava valutando la possibilità che dietro gli omicidi eccellenti ci fosse un unico filo conduttore. Alla Commissione antimafia, racconta dell’ipotesi investigativa che stava ultimando Rocco Chinnici prima di venire ammazzato: un collegamento unitario tra “omicidi eccellenti, che sono in un certo modo apparentemente scaglionati nel tempo, ma che in realtà si inseriscono in vicende di dinamiche anche interne alla mafia e che possono restringersi in un ben individuato arco di tempo”. Il primo omicidio da cui parte l’ipotesi di Chinnici, poi accolta e sviluppata da Falcone, è quello di Michele Reina, consigliere comunale della Dc assassinato nel 1979. A confermare l’ipotesi sulla possibilità che gli esecutori materiali dell’omicidio Mattarella siano gli stessi di quello di Reina arrivano le indicazioni  della vedova di Reina che si è presentata spontaneamente in procura: “Dichiarazioni – sottolinea Falcone – veramente impressionanti quanto a convergenza con l’esecuzione materiale dell’omicidio di Mattarella”.
Ma per Falcone, “l’omicidio importante, l’omicidio di spicco, l’omicidio che si inquadra in un determinato contesto dovrebbe essere, secondo me, quello di Pio La Torre”. Non entra nel dettaglio Falcone su questo punto, ma fa ancora riferimento alla “commistione”, che certamente non vede Cosa nostra come unica attrice di questi omicidi eccellenti.
Poi Falcone tratta le infiltrazioni negli appalti.
Parla di una “centrale unica” ovvero “un vertice che dirige e coordina le assegnazioni e le esecuzioni, cioè tutta la materia” relativa agli appalti. Racconta dei capitali di Vito Ciancimino investiti in Canada e della faticosa ricostruzioni delle transazioni finanziarie.
Fa il nome anche di uno dei cavalieri del lavoro di Catania, Carmelo Costanzo: “È stato il primo grosso imprenditore siciliano che ha ampiamente ammesso la totalità del condizionamento mafioso nei suoi confronti: l’importanza di questa sua dichiarazione ancora non è stata colta, a prescindere dalle valutazioni del Costanzo sotto il profilo penale. E queste voci cominciano a venire anche dall’esterno dell’imprenditoria”.
Al magistrato viene chiesto se i condizionamenti siano solo per le aziende siciliane e la risposta è molto chiara: “Qualsiasi impresa, italiana o anche straniera, che operi in queste zone è sicuramente soggetta agli stessi problemi: questo è sicuro”. Sottolineando che erano emersi elementi di responsabilità a carico di amministratori pubblici e imprenditori, Falcone spiega nella legislazione applicata per l’assegnazione degli appalti “si annidano le possibilità di un pesante condizionamento soprattutto in sede locale. Se così è, chiaramente tutto questo riguarda qualsiasi imprenditore che operi in determinate zona, sia esso persona fisica, che cooperativa o ente a partecipazione statale”.
Anche in questo caso, però, non si tratta di un problema solo connesso alla mafia. “C’è un vertice mafioso isolano che controlla la regolazione dei pubblici appalti; tutto il resto è estremamente articolato e complesso e in corso di accertamento, quindi verrà fuori un po’ alla volta”, spiega Falcone che, incalzato dalle domande, aggiunge: “Alcune opere vengono aggiudicate altrove. Il problema sarà ampiamente chiarito, ma non posso farlo completamente in questo momento perché non credo sia opportuno. Ma il punto è sempre lo stesso: il presupposto dell’intervento dell’organizzazione mafiosa sta nel controllo del territorio”. Si tratta dell’indagine Mafia e appalti, la cui informativa arriverà dal Ros nel 1991 quando Falcone sta lasciando Palermo per andare al ministero? Il contesto farebbe propendere per una risposta affermativa, dal momento che Falcone fornisce anche un altro indizio: l’indagine la stavano portando avanti i carabinieri.
Leggendo i verbali della Commissione antimafia del 1990, un altro dato fa riflettere e fa male: il clima di ostilità riservato a Falcone da alcuni dei componenti che gli fanno le domande. E anche il clima di veleni che serpeggiavano allora nella procura di Palermo. Una conferma, più che una novità.

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