Al Festival dell’Economia di Trento Paolo Gentiloni, Giuseppe Pignatone, Paola Severino, Ilaria Capua, Walter Ricciardi, 3 e 4 giugno

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Trento arancione per il Festival dell’Economia, un colore che si addice anche per la temperatura record che in questi giorni ha raggiunto livelli record con punte di 28/30 gradi. Il caldo atmosferico non ha però messo in crisi l’apertura della sedicesima edizione che è avvenuta ieri, giovedì 3 giugno, con un’anticipazione rispetto al programma ufficiale con l’inaugurazione al Teatro Sociale: il direttore scientifico del Festival Tito Boeri ha intervistato Paolo Gentiloni commissario europeo sul tema “L’Europa, la minum tax e il PNRR”, un dialogo in video collegamento in cui si è fatto il punto della situazione sull’avvio del Next Generation Eu e il rispetto dei parametri e obiettivi target che sono stati stabiliti al fine di ottenere l’erogazione delle risorse. «Esiste una gradualità, ma se un Paese non rispetterà il programma, ad un certo punto le risorse non arriveranno più. Una grande sfida per l’Italia che non a caso ha cominciato con alcuni decreti per procedere da qui all’estate con le riforme, giustizia e fisco, e la legge su concorrenza. Sono obiettivi ambiziosi – ha spiegato il commissario europeo per l’economia (primo politico italiano a ricoprire questo incarico con competenza anche su fiscalità e unione doganale) – e le regole sul Patto di Stabilità e crescita che potrebbe tornare in vigore dal 2023 possono essere cambiate e devono esserlo affinché vengano adeguate al livello in cui ci troviamo. Non è possibile in futuro continuare a cercare il modo di evitare quelle che sono regole comuni perché non sono applicabili». Dopo il rito della cerimonia d’inaugurazione a cui hanno partecipato, tra gli altri, Tito Boeri, Giuseppe Laterza, il presidente della Provincia di Trento, Maurizio Fugatti, il sindaco Franco Ianeselli, il Festival ha subito dato il via agli incontri con personalità del mondo economico, scientifico, culturale e sociale.

Di particolare interesse il forum “La scuola interrotta”, un dibattito di primaria importanza per la grave situazione dovuta all’emergenza sanitaria scaturita dalla pandemia, in cui la scuola ne ha risentito le conseguenze. La chiusura forzata ha costretto gli insegnanti a svolgere il loro lavoro a distanza e gli studenti a dover apprendere da casa. «L’Italia è uno dei Paesi che ha avuto le chiusure più lunghe in Europa, si sono perse 37 settimane di scuola a partire dal mese di marzo del 2020 – ha spiegato l’economista e direttore della Fondazione Giovanni Agnelli Andrea Gavosto causando una perdita di circa il 20% delle competenze, un anno perso. Ciascun ragazzo rischia di perdere l’equivalente circa 2.000 euro in termini di guadagni da futuri posti di lavoro. Moltiplicati per 6,5 milioni di studenti significano circa il 20% del Pil nazionale». Tutti i relatori intervenuti (Elia Bombardelli insegnante di matematica e fisica in provincia di Trento, ideatore di un canale YouTube di videolezioni, l’economista Katharina Werner, Laura Zoller dirigente scolastica dell’ITT Buonarotti di Trento) hanno ribadito l’importanza di convergere in futuro sull’implementazione di una didattica sia in presenza che in modalità digitale, sfruttando l’esperienza pregressa ma con l’ottica di migliorare le prestazioni formative – didattiche con uno sviluppo delle tecnologie finalizzate ad un apprendimento agevole e inclusivo, per eliminare le diseguaglianze.

 

La prima giornata del Festival si è poi conclusa con un dibattito dal tema “La leva della giustizia” in cui hanno partecipato Giuseppe Pignatone, già procuratore della Repubblica di Roma e ora presidente del Tribunale dello Stato del Vaticano e Paola Severino, avvocatessa e ha ricoperto l’incarico di ministro della Giustizia nel governo Monti, con la moderazione di Luigi Ferrarella, giornalista del Corriere della Sera. Un giudizio impietoso sullo stato di salute della giustizia italiana quello espresso dal magistrato che ha subito evidenziato la grave carenza nell’amministrazione che deve garantire lo svolgimento dei processi: «Come si può pensare che la giustizia italiana possa raggiungere i livelli di altri Paesi europei quando i sistemi informatici e tecnologici sono arretrati e rigidi?

La statistica della nostra giustizia ci dice quanto siamo tecnologicamente arretrati come tutto il resto del settore statale che manifesta la sua inadeguatezza nel seguire la legge esistente. Se la domanda viene posta fuori dallo schema esistente, mette in crisi le cause del malfunzionamento generale della giustizia. Quando arriveranno i finanziamenti per l’adeguamento digitale ci si dovrà porre seriamente il problema. In magistratura per vent’anni non si sono fatte fanno assunzioni ed il personale a fronte di un carico di lavoro delle Procure che è otto volte superiore rispetto a quelli di altri Paesi, cifra che sale addirittura a dieci se riferito alla Cassazione? In tutto questo c’è un grande assente: un numero che con c’è ed è quello che esprime il carico di lavoro di certe procure rispetto a ad altre con una spesa della giustizia inferiore rispetto a quella delle procure di altri paesi d’Europa – ha spiegato Pignatone – anche se la commissione Lattanzi ha fatto un ottimo lavoro dobbiamo rassegnarci ad arrivare ad una depenalizzazione riducendo alcuni reati.

Troppe sono state le nuove figure di reato introdotte negli ultimi anni ed è necessario ridurre il numero dei reati per far morire presto i processi prima che arrivino a dibattimento». La tanta auspicata riforma della giustizia che divide gli schieramenti politici dove il tema della prescrizione è dirimente e fonte di contrasti tra posizioni diverse tra di loro e suscita polemiche destinate a protrarsi per l’incapacità della classe politica di raggiungere una soluzione condivisa. «All’estero esistono dei filtri maggiori che permettono di abbassare il numero dei processi in entrata e la depenalizzazione dovrebbe arrivare nei processi più corposi, Vanno evitate le cause civili camuffate da cause penali. Esiste in Italia il fenomeno del panpenalismo dove siamo all’avanguardia in cui si vengono a creare nuove forme di reato. Nessun paese come da noi ha tre gradi di giudizio». La carenza di personale è stato uno degli argomenti più salienti a dimostrazione di una situazione che si perdura nel tempo.

«Il piano di ripresa nazionale si basa su due buone dotazioni: 17mila assunzioni per tamponare le uscite e i pensionamenti a fronte del 26% di scopertura in magistratura. La domanda che mi pongo – ha esordito Paola Severino – queste 17 mila persone dove vanno collocate logisticamente seguendo il criterio della quantità (ovvero la distribuzione) e la qualità. Se guardiamo il numero di assunzioni previste tutto ciò farebbe pensare che sarà un successo. Il problema, però, è quello della distribuzione tra i tribunali in determinati periodi e con un numero maggiore di procedimenti. In alcune procure si lavora moltissimo mentre in altre la vita scorre più tranquilla e il lavoro è molto più limitato. Va posto – ha proseguito l’avvocatessa – il tema della specializzazione del giudice esperto di una fenomenologia societaria che non è una sua conoscenza acquisita. È un problema di qualità in cui il giudice specializzato emette una sentenza molto più velocemente».

Su quanto formulato dalla Commissione Lattanzi, Piercamillo Davigo ha pubblicato sul Fatto Quotidiano una lunga disamina in cui manifesta la sua perplessità riguardo le proposte avanzate ai fini di riforma in materia di processo, sanzione penale e prescrizione del reato: «La commissione riconosce che la condizione essenziale per il funzionamento del processo accusatorio è che questo abbia luogo in pochi casi, dovendo trattare in modi diversi dal rito ordinario la maggior parte dei procedimenti. Era la speranza anche degli estensori del codice del 1988, ampiamente smentita dai fatti. La commissione propone ora modifiche all’applicazione di pena su richiesta delle parti – il cosiddetto patteggiamento – prevedendo la riduzione della pena fino alla metà. L’idea è quella che, aumentando la misura dello sconto di pena, si possano incentivare i patteggiamenti. Il problema – denuncia Davigo – è che metà della pena è sempre di più di nessuna pena, risultato facilmente conseguibile se si ripristinano o si introducono forme di prescrizione, sostanziale o processuale, che consentono all’imputato di farla franca. Il risultato sarà che nei procedimenti in cui sarà difficile raggiungere l’agognata prescrizione (come nei giudizi con rito direttissimo conseguenti ad arresto in flagranza) ci saranno patteggiamenti a pena stracciata, mentre in tutti gli altri nessuno patteggerà».


crediti foto Marco Simonini

Questa mattina, venerdì 4 giugno il forum “Un’agenda per la salute” (a cura de lavoce.info”) si è parlato di salute legata al tema della pandemia con le conseguenti ricadute economiche messe a dura prova da un sistema sanitario che in molti casi non ha retto a fronte di un’emergenza sanitaria globale. Sul palcoscenico del Teatro Sociale a moderare il dibattito c’erano la giornalista del Corriere della Sera Paola Pica insieme all’economista Gilberto Turati e in collegamento dagli Stati Uniti Ilaria Capua direttrice del Centro di eccellenza One Health in Florida, Sabina Nuti rettrice della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, Walter Ricciardi docente di Igiene e Medicina preventiva all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma ( è anche consigliere del ministro della Salute Roberto Speranza per l’emergenza Covid-19), Marco Vecchietti amministratore delegato e direttore generale di Intesa Sanpaolo RBM Salute. Paola Pica ha chiesto a Gilberto Turati come un economista deve guardare il problema della tutela della salute.

«I piani pandemici sono fermi al 2006 e tutti i governi che si sono succeduti in Italia si sono scordati di aggiornarli ma il problema è quello di capire se il tema della salute debba essere sempre centralizzato oppure no. Non è detto che che un governo centralizzando tutto abbia sempre ragione nelle scelte che compie. Le pandemie le vinci fuori dall’ospedale tenendo conto delle polemiche che sono scaturite con il taglio dei posti letto che sono stati apportati in tutte le regioni. Occorre curare in modo preventivo con adeguate terapie e va affrontata seriamente la ristrutturazione della rete ospedaliera deospedalizzando dove sia possibile. La presa in carico – ha spiegato Turati – con la nascita delle case della comunità previste già dal piano sanitario del 2007. Sussiste poi il problema dei medici di medicina generale non esistendo equipe multidisciplinari».

Walter Ricciardi ha citato il libro Spillover di David Quammen che già nel 2013 aveva predetto l’arrivo di una pandemia come questa del Sars-Cov-2 e dell’importanza di farci trovare preparati all’arrivo della prossima. «Se riduciamo la povertà è uno dei fattori principali per contrastare le pandemie. Non ci prepariamo alla prossima pandemia che sarà più grave di quella in corso in cui non stiamo dimostrando di voler cambiare i sistemi. Deve cambiare il modello decisionale».

Il tema della resilienza è stato toccato dalla rettrice Sabina Nuti interpellata su come sia possibile misurare la resilienza dei sistemi sanitari. «Occorre tener presente la differenza che c’è tra le regioni italiane e la capacità di adattamento e riorganizzazione senza tagliare i servizi per tutti i pazienti non Covid. Noi ci siamo chiesti come Sant’Anna, ad esempio, quanto abbiamo perso di tutto quello che non è Covid e delle conseguenze sul sistema sanitario».

Ilaria Capua si è trovata d’accordo con quanto detto in precedenza da Ricciardi rimarcando il pericolo di una nuova pandemia che «arriverà perché finché c’è vita c’è virus e l’homo sapiens sta nella stessa casella degli animali. Il virus fa il virus e le pandemie le fa l’uomo. Un’altra pandemia così non ce la possiamo permettere. Salute e sostenibilità vanno insieme e bisogna guardare ad un futuro spinto. Per farlo bisogna investire sulla tecnologia e ottenere vaccini stabili a temperatura ambiente. Dobbiamo garantire l’equità della salute pubblica. La pandemia è un evento trasformazionale».

 

 


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