Walter Veltroni: chi c’era dietro le brigate rosse?

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La recente clamorosa vicenda degli ex-brigatisti italiani che oggi in Francia rischiano l’estradizione, ha riportato in prima pagina nomi, date e fatti degli anni di piombo. E siamo tornati a chiederci: cosa c’era dietro le brigate rosse? Moro poteva essere salvato? E la cosiddetta prima repubblica, quand’ è nata e quand’è morta?

Walter Veltroni, oggi che non ha più incarichi politici, è tornato all’amata professione del giornalista e di politica si limita a scrivere articoli su autorevoli testate e libri di successo. Il caso Moro e la prima repubblica è l’ultimo, edito da Solferino (pagg. 205 euro 16,50). Ne sono protagonisti dieci comprimari della tragedia di via Fani che rispondono a precise domande: chi c’era dietro le brigate rosse? La Cia o il Kgb o tutti e due? Chi preferì che Moro non uscisse vivo dalla “prigione del popolo”? La Dc o il Pci o entrambi? E la prima repubblica è mai diventata la seconda?

Dei “dieci piccoli indiani”, per dirla con Agatha Christie, intervistati da Vetroni (tornato giornalista dopo esser stato sindaco di Roma per due mandati, vice-presidente del consiglio e ministro della cultura nel primo governo Prodi e segretario del Pd), nove sono politici di spicco, il decimo, incontrato in carcere a Rebibbia, è il brigatista che si vuole abbia materialmente sparato a Moro, Prospero Gallinari, che rispose: “Io non ho mai detto che gli uomini delle Br impegnati nell’operazione Moro erano cinque, dieci o mille. L’unica cosa che ho detto, sempre, è che erano brigatisti, solo brigatisti. Chi ha sparato non conta, dal punto di vista politico”. E ancora: “Voi avete sempre pensato che le brigate rosse fossero solo un’organizzazione terroristica. Invece no. Penso alle fabbriche del mio nord: il cinquanta per cento degli operai sapeva chi erano i loro colleghi che appartenevano alle Br. Ma non li denunciavano”.

C’è stato un momento in cui Moro stava per essere liberato? Per ricostruire la fine della prima Repubblica, Veltroni lo chiede all’ex-ministro socialista Rino Formica. “Io credo di sì. Noi socialisti cercammo di spingere per la liberazione del presidente della Dc”. “Ma chi era che voleva Moro morto?” “Sarebbe meglio dire chi non lo voleva operante? I comandi militari della guerra fredda. Perché lui stava innovando le regole del passato”.

Aldo Tortorella che è stato nella segreteria del Pci con Berlinguer ricorda che “Moro pensava a coinvolgere il Pci nel governo per poi fare l’alternanza. Berlinguer confidava nel prevalere del cattolicesimo democratico di Moro e Zaccagnini per una collaborazione non breve”. Ma i sovietici fecero a Berlinguer “una guerra totale, non solo sotterranea. Noi eravamo il nemico degli americani, ma anche dei sovietici. Secondo Kissinger, Berlinguer era il più pericoloso di tutti perché è democratico rompe l’unità morale dell’Occidente. Perché si scopre che ci può essere un comunista democratico”. “Se Moro non fosse stato rapito il Pci avrebbe votato la fiducia al governo Andreotti?” “La notte prima Moro aveva fatto arrivare, attraverso Luciano Barca, un messaggio a Berlinguer. Gli diceva di fidarsi di lui, che la composizione del governo era il prezzo da pagare per evitare una rottura nella Dc, che lui si faceva garante del programma”.

Virginio Rognoni è stato il ministro dell’Interno succeduto a Cossiga dopo la morte di Moro. “Per la Dc il Pci doveva essere combattuto e allo stesso tempo cooptato nel gioco democratico: di qui il riconoscimento di un’area, il cosiddetto arco costituzionale dove palese fosse la continuità di un legame fra tutti i partiti che avevano scritto la Costituzione. Con Moro finisce la prima Repubblica”.“ Perché Moro non fu liberato in tempo?” “Lo scandalo, come qualcuno lo ha chiamato, è stato che per cinquantacinque giorni non si sia riusciti a trovare la prigione. Il presidente non era prigioniero, che so io, in Alaska, era a Roma, nella capitale, e dalla prigionia mandava continui messaggi accorati e struggenti, Che poi questa incapacità sia stata in qualche modo aiutata da chi era contro la politica di Moro e il suo ruolo nel concerto internazionale non è affatto da escludere. Liberato dalle Br, dalla prigione dove era detenuto, Moro fa paura, è la sua parola che fa paura”.

Peppe Pisanu nel 1978 come capo della segreteria politica di Zaccagnini è stato un testimone privilegiato di quei mesi di dolore vissuti in piazza del Gesù. Perché le Br scelsero il 16 marzo? “Io credo perché eravamo alla consacrazione parlamentare del progetto politico di Moro e Berlinguer”. “Che non piaceva né agli americani né ai sovietici… “ “Questo è un dato consolidato. Del resto, Berlinguer e Moro avevano ricevuto entrambi pressioni veementi, perfino minacce. L’uno da Mosca l’altro da Washington e da almeno altre due capitali dell’alleanza atlantica. Quell’operazione politica mandava a gambe all’aria la logica di Yalta che aveva retto fino ad allora gli equilibri mondiali. E mi chiedo: come può un fenomeno come quello delle brigate rosse passare inosservato agli occhi di servizi segreti oculatissimi e presenti in Italia massicciamente fin dagli inizi della guerra fredda? E che dire di quell’opaca dottrina Mitterrand che consentì a pluriassassini di passare tranquillamente per esuli politici in Francia?”.

Come ha vissuto i giorni del rapimento Mario Segni, figlio del presidente della Repubblica Antonio che lasciò la carica per ragioni di salute? “Il ricordo che ho è la situazione caotica in cui erano venuti a trovarsi gli organi di polizia. Si vedeva la casualità, la disorganizzazione. Io ho avuto sempre l’impressione che Cossiga avesse dato un grande contributo a questo caos della polizia, anche perché lui aveva la mania di fare il poliziotto, dava le direttive, si intrometteva, aveva creato questi strani comitati. Io credo che facesse una grandissima confusione. Il merito di Rognoni, uomo più semplice, forse meno brillante di Cossiga ma più concreto e più efficace, fu quello di ridare ad ognuno il suo ruolo, quindi i poliziotti facessero i poliziotti e i carabinieri facessero i carabinieri”.

Ad Achille Occhetto si deve un cambiamento importante nella vita politica italiana: la nascita di un nuovo partito della sinistra che raccogliesse la tradizione del Pci, ma rinnovandola. “Fu allora che si passò alla seconda Repubblica?” “Non c’è mai stato un passaggio dalla prima alla seconda Repubblica. Anche perché è del tutto evidente che non è sufficiente cambiare una legge elettorale per passare ad un’altra Repubblica. Altrimenti nel momento in cui dovessimo tornare al proporzionale saremmo in una terza Repubblica, o saremmo ripiombati nella prima. Naturalmente nel dire questo non nego che ci siamo trovati di fronte, all’inizio degli anni Novanta, ad uno spartiacque storico, culturale e anche di relazioni umane, capace di determinare quello che preferisco chiamare una seconda fase della prima Repubblica prodotta da un vero terremoto politico più di quello istituzionale. Al centro ci sono due eventi fondamentali: il crollo del muro di Berlino e l’operazione di Mani pulite”.

Claudio Signorile, allora vice-segretario del Psi, si adoperò molto nella ricerca di una soluzione politica per salvare la vita di Moro, prendendo contatti con esponenti dell’Autonomia romana, e convincendo Fanfani a fare quell’apertura che le Br, in una telefonata di Moretti alla famiglia Moro, avevano richiesto come condizione per non eseguire l’assassinio. “Bisognava stringere i tempi. Io continuo a credere di essere stato intercettato quando chiamai Craxi dal telefonino della macchina per raccontargli dell’incontro con Fanfani. Tutti noi eravamo seguiti e ascoltati. Forse sapere che la Dc si stava muovendo ha spinto chi voleva Moro morto ad affrettare le cose. E’ il grande quesito che mi porto dentro. Dopo di che qualcuno ha sparato”.

Emma Bonino ai tempi del caso Moro era appena entrata in Parlamento. “Il mio obiettivo, quasi la mia ossessione, era conquistare la legalizzazione dell’aborto. La politica per me era quello, solo dopo mi sono appassionata ad altro”.“Voi radicali foste fra i pochi a non cedere alla tesi della manipolazione delle lettere di Moro…” “Si discusse se pubblicarle o no quelle lettere. Moro fu delegittimato da vivo, da prigioniero dei terroristi. Lui cercava di svolgere la sua visione della politica e dello Stato e i partiti gettavano nel cestino le sue missive. Pannella, Sciascia e Livio Jannuzzi e un giro socialista si opposero a questa versione e cercarono una soluzione politica. Perdemmo, nel senso che passò la linea della fermezza. Ero convinta allora, lo sono ancora di più oggi, dopo aver conosciuto tanti confitti e tante guerre: con il nemico si dialoga. E’ sempre il dialogo la via della pace”. “Chi realizzò quell’operazione? Le Br da sole o con altri?” “Io ho l’impressione le Br da sole, perché altri non se ne sono mai trovati. Ma quello che è certo è che in quei giorni sono fioccati depistaggi di varia natura”.

Alla domanda perché i servizi segreti non abbiano seguito Pace e Piperno quando andavano a trovare Morucci, Claudio Martelli, delfino di Craxi senza futuro, risponde: “Come mai nessuno si è sognato di seguirli? Sarebbero arrivati alla prigione di Moro. C’era l’unità di crisi presieduta da Cossiga con addirittura dei collaboratori internazionali come Ledeen, quello che per Sigonella fece litigare Reagan con Craxi con una traduzione che esasperò i toni della polemica. Anche quel passaggio non è mai stato chiaro: nella vicenda di Sigonella quali interessi serviva Ledeen dentro l’amministrazione? La Cia? Moro: troppi episodi dimostrano che non lo si è voluto salvare”.

Prospero Gallinari, scarcerato nel 1996 per ragioni di salute, è morto di malattia nel 2013 all’età di 62 anni. Fatta eccezione per Emma Bonino, poco più che settantenne, e per Claudio Martelli che ne ha 77, tutto gli altri uomini politici che Veltroni è andato a intervistare per il Corriere della sera sono dei valenti vegliardi, quattro ultraottantenni e tre addirittura ultranovantenni, che hanno tutti mostrato grande interesse all’argomento ed hanno accettato di buon grado di rispondere alle domande su un evento che ormai risale a 43 anni fa ma che ognuno di loro ha vissuto negli anni della maturità politica e che li ha profondamente segnati. E tutti hanno concluso che “dietro le Br c’erano le Br” e che la Repubblica è una, non prima né seconda, comunque la si voglia numerare.


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