Draghi doma il populismo

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Esistono le conversioni religiose e quelle politiche. Le conversioni politiche avanzano velocemente con Draghi premier. L’ex presidente della Bce la prossima settimana potrebbe varcare il traguardo di un governo «all’altezza della situazione».

L’appello all’unità contro l’emergenza sanitaria ed economica sta raccogliendo consensi quasi unanimi nel centro-sinistra, nel centro-destra e tra i grillini. Alcuni sì, emersi nelle consultazioni di Draghi sulla crisi di governo, apparivano impensabili fino a pochi giorni fa. Invece Matteo Salvini e Beppe Grillo hanno aperto la porta all’ingresso della Lega e del M5S nell’esecutivo di larghe intese al quale sta lavorando il presidente del Consiglio incaricato.

Salvini in pochi giorni è passato al “quasi sì” («La Lega non pone condizioni o veti») dal “no” (è «difficile governare con chi mi ha mandato a processo»). L’evoluzione di Grillo è stata analoga: dal categorico sostegno solo alla nascita di un esecutivo Conte ter all’apertura verso Draghi («Le fragole sono mature. Le fragole sono mature»).

La conversione dei populisti Salvini e Grillo, fieri avversari delle élite europee e italiane, è straordinaria. Il segretario leghista e il garante cinquestelle che, fino al 2018 si spingevano fino a chiedere un referendum per dire addio all’euro, adesso sono sulla soglia di un sì a Draghi premier, al presidente della Bce lodato dalla stampa internazionale qualche anno fa come il salvatore della moneta unica europea.

La conversione dei due populisti ha ragioni analoghe: lo spauracchio scissione. Il ceto produttivo del nord Italia ha premuto e preme per la soluzione Draghi. Gli imprenditori, gli artigiani, i liberi professionisti condividono la linea dell’ex presidente della Bce sulle riforme e i grandi investimenti per rilanciare l’economia e combattere la disoccupazione. Condividono la scelta del “debito buono” e delle grandi riforme per ottenere i 209 miliardi di euro stanziati dalla commissione europea in favore dell’Italia. Gran parte del Carroccio la pensa da tempo così: Giorgetti, Zaia, Fedriga da tempo sollecitano Salvini a una svolta europeista per abbandonare la linea sovranista-populista. Giancarlo Giorgetti è il più determinato. Il vice segretario leghista è un estimatore del presidente incaricato: «Draghi è un fuoriclasse, come Cristiano Ronaldo, non può stare in panchina». La divaricazione era diventata forte nel Carroccio, e già da tempo si parlava di una possibile rottura.

Scissione è un pericolo sempre alto per i grillini. Nel Movimento 5 stelle è forte la divisione tra i governisti di Di Maio e gli antagonisti di Di Battista. Nonostante l’intervento di Grillo resta consistente la contestazione verso Draghi. Di Battista attacca sarcastico: quasi tutte le forze politiche «si stanno inchinando al tredicesimo apostolo».

Giorgia Meloni è l’unica ad annunciare la scelta dell’opposizione: «Non posso governare con il Pd e con il M5S, dal quale mi divide tutto». Fratelli d’Italia dall’opposizione punta ad erodere i consensi sovranisti della Lega governista.

Draghi premier spacca il centro-destra, i cinquestelle e destabilizza il centro-sinistra (molti nel Pd e Leu criticano l’accordo con il sovranista Salvini). Il presidente del Consiglio incaricato, come ha già fatto Emmanuel Macron in Francia, sembra azzerare la Terza Repubblica e ridisegnare il sistema politico italiano.


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