Domenica la Catalogna al voto. Nell’incertezza

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La Catalogna vota domenica per il rinnovo della Generalitat. Un voto che si tiene in piena terza ondata della pandemia anche perché il governo regionale non è riuscito a indicare un’altra data, facendo sì che un tribunale confermasse il limite massimo che la legge impone per il rinnovo dell’assemblea. Alla fine di settembre il Tribunale supremo inabilitò il presidente della Generalitat, Quim Torra, di Junts per Catalunya (JxC)- un provvedimento discusso, a seguito di una condanna per non aver ottemperato all’ordine di un tribunale di liberare la facciata della Generalitat da consegne indipendentiste durante il periodo elettorale del 2017 – ma valido. Per una serie di pasticci la maggioranza non è riuscita a trovare una soluzione legale e la Catalogna è precipitata in un voto che non semplice da gestire dal punto di vista sanitario. Un voto che arriva a tre anni dal precipitare della crisi catalana – e a dieci anni dall’inizio della svolta indipendentista del catalanismo – nel quale molti nodi vengono al pettine. Un voto che risponderà a molte domande, prima fra tutte chi vincerà la sfida interna all’indipendentismo tra Esquerra republicana de Catalunya (ERC) e Junts per Cat (JxC).

Erc ha aperto alla collaborazione con Madrid e vuole rappresentare un indipendentismo che recupera il dialogo politico e istituzionale nell’affrontare la questione territoriale spagnola. Pere Aragonès, il candidato, centra la campagna soprattutto sull’indulto per politici e attivisti indipendentisti incarcerati. Di fatto, è l’abbandono della via unilaterale, quell’insieme di eventi di nessuna valenza pratica dal valore sommamente propagandistico che portarono ai fatti del 2017 e al successivo processo e alle condanne dei protagonisti politici e associativi dello scontro indipendentista. Intenzione che stenta a manifestarsi, se l’abbandono del simbolismo e del lessico propagandista appare un processo difficile e non convintamente affrontato, forse non alla portata di questa generazione di dirigenti. Apparentemente in testa nei sondaggi, la formazione dell’ex vicepresidente condannato per i fatti dell’ottobre 2017, Oriol Junqueras, ancora detenuto ma presente nella campagna elettorale grazie a permessi carcerari, potrebbe però ancora una volta mancare il risultato.

JxC, la formazione di Carles Puigdemont – l’ex presidente della “sfida indipendentista” autoesiliatosi a Waterloo e ora deputato europeo – mette in scena l’ortodossia indipendentista e continua a dominare l’agenda del dibattito, tanto da riuscire a far convergere tutte le forze indipendentiste (catalanisti non ne esistono più) nella sottoscrizione di un patto che impegna i contraenti a non arrivare mai a accordi di nessun tipo col Partito socialista catalano (Psc-Psoe). Un accordo nel quale Erc non ha nulla da guadagnare, perdendo molta capacità di manovra, e per cui anche gli altri due protagonisti “minori” dell’indipendentismo hanno tutto da perdere. La sinistra indipendentista anticapitalista della Candidatura d’unitat popular (Cup) che, dopo aver partecipato delle politiche liberali dell’alleanza indipendentista, pone un veto sui socialisti come se fossero la destra estrema di Vox, continua a manifestare subordinazione all’agenda nazionalista, una debolezza delle sinistre che spiega i successi dell’indipendentismo. Così come il Partit Demòcrata de Catalunya (PDeCat), che ora rappresenta l’indipendentismo non legato a Puigdemont, evidentemente ancora incapace di autonomia.

La candidata di JxC, Laura Borràs, presenta un programma pensato per non essere propagandato durante le manifestazioni elettorali che abbiamo conosciuto grazie alla giornalista Isabel García Pagán de La Vanguardia che ne ha scritto lunedì scorso – una bizzarria tutta catalana il programma riservato. Per Borràs il voto dovrà decidere dell’indipendenza. Se i partiti che la appoggiano superano il 50% dei voti proporrà a Erc e Cup un governo di unità “disposto a prendere le decisioni unilaterale necessarie” (stando ai precedenti, la riproposizione di deliberazioni indipendentiste senza valore legale utili a alzare il livello dello scontro per trarne profitto elettorale). Inoltre il Parlamento catalano dovrebbe accettare l’autorità politica del Consiglio della Repubblica, un’istituzione con sede a Waterloo, in Belgio, dove risiede Carles Puigdemont, non eletta e senza nessuna caratteristica democratica – una sorta di governo alternativo trumpiano di Mar-a-Lago. Un’istituzione di per sé escludente, che non riconosce almeno la metà della società catalana, quella che non si riconosce nell’indipendentismo. Un programma del genere non sarebbe probabilmente pensabile in un luogo d’Europa che non sia la Catalogna dove, invece, il progetto viene sì malamente accolto dagli altri indipendentisti ma senza metterne in discussione il realismo fantastico del quale tutti sono stati partecipi autori.

A sinistra gli occhi sono puntati su Salvador Illa, ex ministro della salute del governo Sànchez, candidato del Partit dels Socialistes de Catalunya (Psc- Psoe). La candidatura è arrivata come una bomba, Sànchez ha visto l’opportunità per il socialismo catalano, con la possibilità di diventare addirittura il primo partito – chi l’avrebbe detto pochi mesi fa? Perché c’è da saccheggiare un granaio di voti in libera uscita, quelli di Ciudadanos (C’s). Carlos Carrizosa, è nella posizione più difficile, i 36 seggi, il 25,37 % dei voti assoluti, ottenuti nel 2017 da Inés Arrimadas sono in libera uscita, gran parte di quei voti erano dei socialisti che puntano a riprenderli. Illa si presenta come colui che vuole “voltare pagina”, chiudere il decennio di scontro e riportare la Catalogna e la Spagna alla normalità. Normalità che corre il rischio di essere colta in Catalogna come “normalizzazione” (e non aiuta l’evocazione di un accordo con C’s, seppur strumentale a raccoglierne i votanti). Illa contro tutti, con JxC che sta al gioco e costringe gli alleati-avversari, chiudendo a possibili accordi che rompano i blocchi.

Il voto è una partita difficile per Jéssica Albiach, la candidata di Catalunya en Comú. I comuns, la formazione della sindaca di Barcellona Ada Colau, hanno spesso subito l’agenda indipendentista, differenziandosi ma senza riuscire a ribaltare le priorità del dibattito pubblico. La violenta e ingiustificata risposta del governo Rajoy è bastata per blindare la deriva indipendentista con l’aura della repressione, limitando il ruolo della formazione che paga anche le lotte intestine dei cugini di Podemos e l’offensiva della Cup che ha una buona tradizione di presenza municipalista. Il patto anti socialista sgombra il campo dalla possibilità, abbastanza remota, di un governo delle sinistre, con Erc a rompere il fronte indipendentista.

Infine c’è la sfida a destra. Di C’s abbiamo detto, il partito che ebbe la Catalogna e un pezzo di Spagna in mano si è bruciato tutto nella corsa a destra col Pp e Vox, uscendone travolto. Quanti voti andranno a destra? Il Partido popular, che pure non è mai stato forte in Catalogna, anche per la recrudescenza degli scandali di corruzione, se la vede bruttissima. Il candidato Alejandro Fernández è in competizione con Ignacio Garriga, di Vox. Mulatto, sua madre è originaria della Guinea equatoriale, proviene dal Pp che abbandonò per la morbidezza su aborto e unità nazionale. Vox potrà trovare la sua prima rappresentanza nel parlamento catalano e anche superare il Pp.

Domenica si terrà un voto che è la perfetta rappresentanza dell’era dell’incertezza aperta dall’epidemia da Covid-19. Incertezza sin dalla data, che è stata confermata solo lunedì scorso a cinque giorni dalla fine della campagna, nei risultati, con un 40 per cento di indecisi nei sondaggi, e ancora nelle operazione di voto che, a oggi, ancora non hanno chiarito come far votare gli elettori in quarantena o positivi al Covid-19. Si è proposta una divisione per fasce orarie – dalle 9,00 alle 12,00 per le persone a rischio, dalle 12,00 alle 19,00 tutti gli altri elettori, tranne i positivi al Covid e quelli in quarantena che avranno come fascia consigliata quella dalle 19,00 alle 20,00. È possibile votare per posta e le autorità invitano a approfittare della modalità, potenziando gli uffici che attuano il meccanismo, mentre criticità emergono dai seggi, con componenti che rifiutano di rispondere alla convocazione. La partecipazione è stata molto alta nelle ultime due tornate elettorali, il 77,46 per cento nel 2015 e l’81,94 per cento nel 2017. La tenuta del meccanismo elettorale davanti al Covid sarà una prova importante per la Catalogna e per la Spagna e fornirà indicazioni utili agli altri paesi.

Salvador Illa contro tutti sembra essere il tono delle ultime ore di campagna, con Erc che prova a mobilitarsi contro l’offensiva di JxC mettendo in campo l’icona del suo leader incarcerato, Oriol Junqueras, a fronte di quello scappato all’estero, Carles Puigdemont. Se Illa dovesse vincere non avrebbe nessuna garanzia di riuscire a governare, le divisioni nel campo indipendentista potrebbero non garantire un esecutivo stabile. Non è da scartare che un nulla di fatto possa rendere necessario un ritorno alle urne in tempi brevi.


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