Turchia, l’editore e filantropo Osman Kavala resta in carcere. Una ‘tortura immateriale’ infinita

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“La mia detenzione per anni, con accuse così bizzarre che non hanno nulla a che fare con la realtà, non è solo una violazione dei diritti. È una tortura immateriale”.
Con queste parole Osman Kavala ha ribadito con forza la sua estraneità alle imputazioni che gli sono state rivolte nel corso del processo ripreso oggi in Turchia. Kavala, editore e filantropo, è accusato di tentativo di rovesciamento dell’ordine costituzionale per il fallito colpo di Stato del 15 luglio 2016 e di spionaggio. E’ in carcere da oltre 3 anni da innocente, solo per aver sostenuto un’idea di Turchia più liberale e tollerante. Il regime turco non glielo ha perdonato. Resta in prigione nonostante la Corte europea per i diritti umani avesse stabilito che la sua detenzione era illegale e che dovesse essere rilasciato.
La decisione dei giudici turchi di negare la libertà dell’imprenditore e difensore dei diritti umani è l’ennesima prova dell’accanimento nei suoi confronti.
La 36ma Alta Corte penale di Istanbul, che ha negato il rilascio di Osman Kavala, ha fissato una nuova udienza del processo per il 5 febbraio 2021. La Turchia ha già respinto due appelli del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, che aveva esortano fortemente il governo turco ad assicurare l’immediata liberazione di Kavala.
E la farsa di un processo giudiziario imbastito per colpire un oppositore del presidente Recep Tayyip Erdogan continua, come l’incubo della prigionia per il filantropo da tempo nel mirino del leader dell’Akp.
Secondo molte ong internazionali, da Amnesty International a Human Rights Watch, l’attivista per i diritti umani è vittima di una persecuzione giudiziaria.
Lo stesso Erdogan è più volte intervenuto pubblicamente per accusarlo di eversione, sottolineandone i legami con il “noto ebreo ungherese Soros” ed esprimendosi ancora il mese scorso contro la sua liberazione, dopo che un suo consigliere e storico sodale, Bulent Arinc, l’aveva sollecitata insieme a quella del leader carismatico curdo Selahattin Demirtas, come segnale di distensione verso la società civile, dopo le decine di migliaia di arresti ed epurazioni post-golpe. Appello rimasto inascoltato.
Collegato col tribunale in videoconferenza, oggi il 63enne fondatore dell’ong Anadolu Kultur ha nuovamente professato la sua innocenza. “Mi sono opposto ai colpi di stato militari e ho criticato le interferenze dell’esercito nella politica per tutta la vita. Queste accuse sono in netto contrasto con la mia visione del mondo e i miei valori”, ha dichiarato il filantropo.
Sin dal primo momento si è compreso che il processo nei confronti di Kavala fa parte di un più ampio tentativo delle autorità turche di mettere a tacere la società civile indipendente.
Dopo l’assoluzione lo scordo febbraio dall’accusa di aver finanziato le proteste di Gezi Park del 2013, l’imprenditore era stato subito accusato delle nuove imputazioni.
Una ‘tortura morale’, come l’ha definita lo stesso Kavala durante l’udienza di oggi, senza fine.


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