Il grande Maradona e i piccoli sciacalli

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Le manifestazioni oceaniche che in tutto il mondo, ma soprattutto in Argentina e a Napoli, hanno onorato la morte del più grande calciatore di tutti i tempi, quale indiscutibilmente è stato Diego Armando Maradona, hanno scatenato gli sciacalli che si ergono sul piedistallo di una presunta morale i quali hanno inveito contro il Campione definendolo drogato, alcolizzato, evasore fiscale, immorale, violento con le donne e, persino – estremo oltraggio (!!) – come pericoloso “comunista”. Guarda caso, sono gli stessi che alcuni giorni prima avevano linciato un senatore, (persona perbene), colpevole, a loro avviso, di avere – muovendo critiche ad una defunta presidente di Regione – offeso la memoria della stessa.

Le invettive non potevano risparmiare Napoli di cui Maradona era stato il figlio prediletto che aveva riscattato, con la vittoria di due scudetti, la città dallo strapotere delle lobby calcistiche del Nord che dominavano incontrastate nel mondo del calcio. C’è chi (salvo, poi, a chiedere scusa) ha, in maniera deprecabile, affermato che se Maradona avesse giocato in una (famosa) squadra del Nord sarebbe ancora vivo; c’è chi si è dichiarato sconcertato per la proposta di dedicare al Campione lo stadio “San Paolo” (cosa, invece, buona e giusta); c’è chi si è scandalizzato perché i tifosi napoletani hanno parlato di Dio-Maradona, non riuscendo a capire che il Dio non era quello della Divinità bensì il “dio del football”, il demiurgo del pallone capace sul campo di gioco di qualsiasi “miracolo” (metaforicamente parlando) mai riuscito ad altro umano. Vi sono, poi, molti – ritenuti competenti opinionisti sportivi – che si sono affannati a dire che il miglior calciatore del mondo non era stato Maradona bensì il brasiliano Pelé di cui, al massimo, l’argentino poteva ritenersi l’erede. Ed è, allora, il caso di sfatare questa leggenda del tutto infondata: chi ha visto giocare entrambi i campioni non può che giungere alla conclusione che tali affermazioni sulla superiorità di Pelé suonano offese al genio, ineguagliato ed ineguagliabile, del “dio del calcio” capace con il pallone di compiere magie che nessun altro calciatore (compreso Pelé) è stato mai capace di realizzare. La leggenda del brasiliano Pelé quale giocatore più forte del mondo nasce: a) dalla circostanza che è stato tre volte campione del mondo (senza mai esserne il protagonista principale: nel 1958 e nel 1962 fu Garrincha, forse a lui superiore); b) dall’incessante “battage” pubblicitario e mediatico posto in essere in Brasile che fece di Pelé un eroe mondiale; c) dall’avere la FIFA – per venti anni gestita dal padre-padrone il brasiliano Havelange – collocato sistematicamente al primo posto nelle graduatorie e classifiche mondiali dei calciatori sempre Pelé, facendo così grave torto a colui che, prima di Maradona, deve essere considerato il più grande calciatore; l’argentino di “origine campana” Alfredo Di Stefano, ad un tempo realizzatore, rifinitore, regista, un vero maestro del calcio capace di trasformare il gioco nella perfezione, nell’arte.

In conclusione, non vi è alcun dubbio che le miserevoli accuse non scalfiggono minimamente l’immenso, inimitabile talento di Diego Armando Maradona, che ha scritto la storia del calcio, e rimarrà nell’imperituro ricordo di coloro che amano il calcio come lo sport più bello del mondo, mentre vanno rispedite ai mittenti le velenose invettive di tali sedicenti opinionisti.


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