Non è “solo un furto”. Al via la campagna di raccolta fondi destinati alla creazione di un impianto di videosorveglianza per l’azienda di Maria Chindamo

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Ci sono storie in Calabria che devono essere raccontate. Storie di dolore e di rinascita, storie di realtà che devono essere supportate e non lasciate sole.

L’azienda agricola porta ancora il suo nome, quello di Maria Chindamo, giovane donna scomparsa a Limbadi il 6 maggio 2016. È qui che la notte scorsa ignoti hanno rubato attrezzature e mezzi agricoli, ladri ignoti a noi, ma certamente non a chi controlla quel territorio. Siamo a Limbadi, territorio con un alto livello di controllo da parte di gruppi e affiliati che di sicuro conoscono la storia di Maria. Perché la sua è una scomparsa in cui si riconoscono tracce di mentalità, di simboli e codici che riportano a una radice ben precisa, quella ’ndranghetista. Maria Chindamo era una donna forte, libera, madre e dottore commercialista, decisa a creare e portare avanti l’azienda su quei terreni a lei intestati ma originariamente appartenuti alla famiglia del marito, morto suicida esattamente un anno prima della sua scomparsa inseguito alla loro separazione.

Maria decide di occuparsi direttamente di quei terreni organizzando l’impresa agricola, lavorando sodo e impegnandosi in un ambito nuovo con innovazione e scrupolosità. Non cede nemmeno davanti agli ostacoli quotidiani che le si pongono davanti, dispetti e strane coincidenze alle quali decide di non dare peso, importante per lei era andare avanti. Anche il giorno della sua scomparsa deve recarsi in azienda per fare un trattamento speciale alla piantagione di kiwi: “L’autovettura della Chindamo viene ritrovata davanti al cancello di ingresso della sua azienda agricola con il motore acceso e l’autoradio a tutto volume – si legge nell’ordinanza depositata il 9\7\19 – ma di Chindamo Maria nessuna traccia ad eccezione di visibili tracce sulla carrozzeria dell’auto e sull’area circostante”, elementi che porteranno gli investigatori a parlare di “omicidio volontario”. Dopo 4 anni l’indagine è adesso passata alla Distrettuale antimafia, tutto è ancora in corso.

Maria ha sfidato le regole imposte, “non ha mai perso il sorriso, con il suo stile elegante e curato”, ha continuato per la sua strada, ha scalfito la terra e l’onore, in un contesto in cui “il legame con la terra, è vitale”. Una donna che ha colpito dritto al cuore identitario di questi contesti, con la forza di una soggettività intrisa di libertà e forza d’animo. Dal giorno della sua scomparsa la famiglia di Maria, la madre, il fratello Vincenzo e i tre figli, due dei quali maggiorenni, continuano senza sosta a chiedere verità su quanto accaduto ma soprattutto a essere testimoni, con una presenza discreta e forte, dell’esperienza e dell’esempio di Maria. L’impegno della famiglia Chindamo, che in questi quattro anni ha avuto una eco mediatica soprattutto nazionale, è volto quindi non solo alla verità, a sapere dove è stato sepolto il corpo di Maria, ma anche alla tensione verso un cambiamento che è soprattutto culturale.

Per tutto questo il furto nella sua impresa agricola non è solo “un furto”. È intriso di una storia che non può essere taciuta, è la storia di una azienda agricola calabrese fondata da una donna che ha costruito dignità e lavoro per se stessa e per i suoi figli; è la storia di una memoria che diventa emblema di lavoro e dignità per una famiglia che chiede verità e giustizia e che non ha mai smesso di portare avanti con stile e cura l’esempio di Maria. Non è solo un furto perché davanti a quel cancello è sparita Maria, perché quell’azienda è il suo sogno imprenditoriale rappresenta per i suoi tre figli la possibilità di un futuro possibile. Questa terra, questa azienda, questa storia dev’essere tutelata in tutti i modi. A chi pensa che sia la terra di nessuno, la famiglia insieme ad amiche e amici risponde con forza e con una scelta consapevole e condivisa: controlliamo noi la terra di Maria, ci saranno occhi vigili e attenti, segni forti di una sana consapevolezza, portare avanti il sogno di Maria. Per questo nei prossimi giorni sarà avviata la campagna di raccolta fondi per dotare l’azienda di Maria Chindamo di un sistema di videosorveglianza, un sostegno concreto, reale che lascia intendere un messaggio ben preciso a chi ha pensato che non ci fosse bisogno di uno sguardo speciale, e a chi pensa di essere padrone delle terre e delle vite in questa Calabria. Il sogno di Maria è il sogno di tutti noi.


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