Italo. Educazione di un reazionario

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C’è un fumetto uscito qualche mese fa da leggere assolutamente. Italo (Rizzoli Lizard, pp.192, 20 €) di Vincenzo Filosa è una storia apparentemente minimale che con ironica sofferenza racconta quel che siamo diventati. Nell’incipit siamo catapultati nell’umanità dolente del Sert, dove Italo è costretto a recarsi periodicamente per disintossicarsi (?) dai medicinali, che usa fin da piccolo per calmare i dolori (“Ne facevo uso saltuario già a quindici anni”), e dalle droghe, che ora gli alleviano i suoi numerosi problemi esistenziali. Vive malamente disegnando fumetti a Milano con la compagna che lo rimprovera (“Non voglio tornare a Crotone come una fallita senza lavoro.”) e un figlio (“Ma Cap è il più forte di tutti!”) a cui trasmette la sua passione per i fumetti (“Certo, ha un animo nobile, è famoso per il suo coraggio ineguagliabile”). Ritmi forsennati di produzione per scarsi denari perché il successo in questo campo è solo per pochi. Solo la passione, o meglio l’ossessione, per il fumetto lo sostiene e Italo, per reggere a editori che pagano male o in ritardo e che pretendono consegne immediate, è costretto a fare i salti mortali. Droga e precarietà rendono la vita sua e della famiglia un inferno. Dopo un grave incidente d’auto decide di rientrare nel luogo natìo. Il ritorno a Crotone dà modo di gettare uno sguardo sulla sua difficile relazione con il mondo. La Calabria è terra problematica, strutturata sul “non finito”, fatto di edifici di recente costruzione, ma incompleti e che sono già vecchi prima di essere veramente vissuti. La condizione di quella lontana regione sembra fare da pendant a quella di Italo, a cui nemmeno i suoi parenti riconoscono dignità di artista e lavoratore. Essi vivono in un universo consumistico fatto di stipendi fissi e costruzioni abusive. E’ impossibile che in una regione del genere si sappiano riconoscere le persone di valore, perché quel che domina è l’ignoranza, quel che conta è l’arricchimento facile, di cui proprio il padre ne è l’esempio, contraltare del figlio. Ma non è questa forse la condizione generale di tutta l’Italia? Per coloro che hanno forti passioni come Italo la vita non è semplice e non tutti sono eroi che sanno resistere fra le pieghe della grande storia. Il sottotitolo – Educazione di un reazionario – è esplicativo di una condizione quasi oblomoviana. Come l’eroe di Gončarov il personaggio di Filosa è segnato dalla rinuncia all’agire. Italo è un inetto dei giorni nostri che si sforza di sopravvivere recriminando verso un mondo da cui non riesce ad ottenere nulla, ma in cui vuole immergersi (Mercedes, Sky, droghe…) senza avere reali possibilità di godimento. Non può esserci identificazione tra noi e un protagonista del genere. Chi vorrebbe essere come lui? Paradossalmente proprio qui emerge la bravura di Vincenzo Filosa. Sa costruire un personaggio indimenticabile nella sua ordinarietà, a volte molesto e maldestro, eppure è proprio la sua “antipatia” ad attrarre il lettore che, avvolto da una rete di (auto)ironica difficoltà, si ritrova a rispecchiarsi nell’universo di Italo perché lo riconosce come proprio. Il quarantenne Filosa ha creato un romanzo grafico acidulo, commovente (ma non sentimentale), scritto e disegnato in stato di grazia che utilizza un bianco e nero di grande espressività per (de)scriverci volti e strade del nostro amaro paese. L’autore calabrese si era già messo in prova con una narrazione egoica con Viaggio a Tokyo e Figlio unico, ma ora con Italo si è cimentato in una storia più intima e intensa che ha varia ispirazione. Occhieggiando nella biblioteca del protagonista si intravede tra la pila dei libri Zeno porno di Paolo BacilieriCredo sia il giusto riferimento verso un autore cui Filosa si richiama per molti aspetti: il taglio della pagina, il montaggio delle vignette, i disegni tra il grottesco e il caricaturale. Emerge, poi, prepotente l’altra sua fonte di ispirazione, la realtà fumettistica giapponese. L’autore guarda a certa tipologia di mangail gekiga, più adatto a un pubblico adulto, in particolare ad autori come Tsuge, Abe, ad esempio – ma anche Tezuka – che hanno fatto dello scavo interiore il focus della loro narrazione disegnata. E Filosa lo sa fare benissimo attraverso la figura di Italo Filone, mettendosi a nudo con spietata sincerità: “Non credo di essere pronto a smettere. Però voglio una vita più regolare.”


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