Donatella Orecchia: “Stravedere la scena. Carlo Quartucci. Il viaggio nei primi venti anni 1959-1979.

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Pubblicato da Mimesis, Stravedere la scena. Carlo Quartucci. Il viaggio nei primi venti anni 1959-1979. L’autrice è Donatella Orecchia. La Feltrinelli, la libreria d’estate. Dritte letterarie dai librai e dagli editori per la letteratura 2020 ne consiglia la lettura: «Il volume segue il percorso di Carlo Quartucci nei primi venti anni della sua attività teatrale, fra il 1959 il 1979, con uno sguardo finale che si spinge fino ai primi anni Ottanta: dall’esperienza nel teatro universitario di Roma alla Compagnia della Ripresa, al Festival beckettiano di Prima Porta, alla Biennale di Venezia con Zip e alle collaborazioni con la Rai di Torino; dall’incontro con Jannis Kounellis alla prima de Il lavoro teatrale a Venezia, ai viaggi nel Camion bianco per le periferie di mezza Italia e all’avvio della collaborazione con Carla Tatò. Attraverso l’indagine della ricerca “irrequieta” di Quartucci, si incontreranno i grandi temi che hanno acceso il panorama teatrale dell’epoca: l’arrivo di Samuel Beckett sulle scene italiane, il rapporto fra teatro di ricerca e istituzioni, la ridefinizione del concetto di attorialità e di regia, il montaggio come metodo compositivo di una nuova scrittura scenica, il rapporto con le tradizioni popolari, la deflagrazione del teatro verso altri linguaggi (Radio e TV innanzitutto) e il decentramento teatrale. L’ampio riferimento alle fonti orali raccolte dall’autrice guiderà, inoltre, il lettore alla scoperta dei racconti dei protagonisti – compagni di strada, spettatori, critici – di quella stagione teatrale»

 

Carlo Quartucci

Sul Fatto Quotidiano di lunedì 13 luglio Furio Colombo pubblica la recensione del libro dal titolo “Carlo Quartucci. Quando il palco si divora tutto e New York bisbiglia: ‘Vuoi vedere o essere teatro?’” con un’interessante premessa quando scrive: (…) «Ci sono tratti di percorso culturale in cui il teatro si mangia tutto, non nel senso di egemonia (guidato da nuove tecnologie per nuovi talenti). Ma nel senso di vastità. Accade in due Paesi soprattutto, gli Stati Uniti e l’Italia». Il giornalista e scrittore ricorda il suo arrivo a New York e la pubblicazione del suo secondo libro “Nuovo Teatro Americano”, scelta d’obbligo per quanto osservato in un Paese dove il teatro domina su tutto : «Perché tutto era teatro e il teatro si impossessava della realtà, trasformandola nel mai visto e nel mai sentito, occupando tutto lo spazio dalla politica alla musica, con la forza di far percepire in modo diverso gli eventi». Colombo raccomanda vivamente la lettura di questo saggio di Donatella Orecchia (storica e docente del teatro contemporaneo) ma anche di storia orale: «conta molto in questo campo» e attribuisce all’autrice il merito di aver scritto documentandosi con molta attenzione con la cura dovuta e con uno stile originale: « (…) sia all’insieme del teatro italiano ed europeo, in quegli anni; sia ai dettagli di uno straordinario modo di fare teatro, raccogliendo reperti preziosi di un mondo attraversato con furia e entusiasmo dai protagonisti (molti e bravi al punto da cambiare radicalmente la scena), indicando come guida, scout e caposcuola che guida a sapere e a capire, Carlo Quartucci».

E non si può essere che d’accordo con Colombo. Un regista, attore e scenografo scomparso nel mese di dicembre del 2019 a cui la cultura deve moltissimo. Una carriera segnata da importanti esperienze tra cui quella di far parte della Compagnia della Ripresa insieme a Leo De Berardinis, Rino Sudano e Cosimo Cinieri debuttando nel 1962 al Teatro Goldoni di Roma, sono anni in cui insieme a Carmelo Bene, Perla Peragallo, Carlo Cecchi, Rino Sudano, Leo De Berardinis e Carla Tatò, si rendono protagonisti di un movimento di contestazione e rottura nei confronti di chi esercitava il “teatro di regia critica”. «Quartucci appartiene a un’importante cerchia di artisti: da Judith Malina a Julian Beck, da Josè Quintero ad Edward Albee (il celebre Circle in the Sqauare di Manhattan dove tutto avveniva) fino al Minneapolis firse house e a Le Cirque du Soleil – scrive ancora il giornalista del Fatto Quotidiano – , che senza esitazione trasformano la comune forma di comunicazione in “lingua di teatro”» e chiude la sua rievocazione – analisi impeccabile su un teatro di cui possiamo avere solo nostalgia, con un ricordo autobiografico: «(..) entrando nel teatro sottosuolo della Mineapolis Fire House di Manhattan: “Vuoi vedere il teatro o essere teatro?”.


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