Trattativa stato-mafia: intervista a Vincenzo Musacchio

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Vincenzo Musacchio, giurista e docente di diritto penale, è associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). E’ ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla criminalità organizzata del Royal United Services Institute di Londra. E’ stato allievo di Giuliano Vassalli e amico e collaboratore di Antonino Caponnetto.

Redazione – Scuola di Legalità “don Peppe Diana” di Roma e del Molise

Professore, secondo lei la trattativa Stato-Mafia c’è stata?

Direi proprio di si e non lo dico solo io ma finanche una sentenza di un organo giurisdizionale. La mafia dalle sue origini ha sempre avuto collusioni con lo Stato. Dirò di più, questa trattativa non può avere lati oscuri occorre massima chiarezza: eludere o omettere i fatti significa non rispondere a una esigenza che riguarda la salute della nostra democrazia.

Cosa ne pensa della distruzione delle intercettazioni tra Mancino e Napolitano?

Da un punto di vista processuale ritengo le conversazioni fossero legittimamente intercettate e conformi alla legislazione dell’epoca. Credo che abbiano, per alcuni, costituito un vulnus costituzionalmente rilevante e per questo furono distrutte senza contraddittorio tra le parti. Non posso dire se convenisse o meno ascoltarle ma credo non spettava al Quirinale polemizzare, bastava adire l’autorità giudiziaria competente a decidere sui fatti.

In questi giorni si parla di veti del Colle in quel periodo e in merito ad alcune nomine di magistrati ad alcuni incarichi, che ne pensa? Ci sono state?

Questo non posso saperlo, ma, ricordo che, ad esempio, sembra ci sia stato un veto alla nomina di Gratteri a Ministro della Giustizia nel Governo Renzi. Nella realtà noi tutti sappiamo che il potere non nasca naturalmente: esiste perché è attribuito ad una persona che lo esercita. Come avviene tale esercizio, ovviamente,  non spetta a me giudicarlo, posso solo esprimere la mia opinione: ho sempre pensato che chi abbia esercitato il potere abusandone alla fine ha finito per esserne distrutto.

I pochi che hanno osato chiedere conto al Quirinale su tali fatti sono stati immediatamente tacciati di attentare alla democrazia, è così?

No, non è così. Il telefono sotto controllo su mandato del pubblico ministero e su autorizzazione di un giudice era quello di Mancino, che si ipotizzava sapesse della trattativa e avesse mentito sui rapporti tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra intercorsi nei primi anni novanta. Mancino, preoccupato per l’inchiesta che lo riguardava, avrebbe compiuto alcune telefonate a Napolitano. Il Capo dello Stato ha ritenuto quelle intercettazioni ledessero le proprie prerogative proponendo ricorso contro il provvedimento della Procura di Palermo e la Consulta gli ha dato ragione. Non vedo dunque nessun attentato alla democrazia.

Abbiamo avuto magistrati che hanno indagato e indagano sulle stragi degli anni novanta, una delle ferite più dolorose nella storia d’Italia, quelle stragi hanno a che fare con la trattativa?

Ad oggi possiamo dire certamente si. L’ipotesi d’un patto tra istituzioni e la mafia c’è stata e ritengo stiamo vivendo in uno Stato dall’identità istituzionale molto dubbia. Lo Stato non tratta mai con i criminali e gli assassini calpestando le vittime e i loro familiari. Quale credibilità potrebbe aver un simile Stato?  Comincio a pensare che Sciascia avesse ragione quando diceva che se lo Stato italiano volesse davvero sconfiggere la mafia, dovrebbe suicidarsi!

Da poco c’è stata la commemorazione della strage di Capaci e tra poco si ricorderà quella di via D’Amelio, ventotto anni dalla morte di Falcone e Borsellino, nelle cerimonie tutti chiederanno “verità” ma non le sembra una presa in giro se c’è stata una trattativa?

In Italia la politica, anche quella recente, è diventata teatralità, talvolta spregevole, d’un vario genere, che va dalla faccia di bronzo all’ignobile spudorato (penso allo spettacolo vomitevole  dei volti alla messa funebre di Falcone e di Borsellino e a quelli che in vita li hanno osteggiati e offesi e alle commemorazioni siedono in prima fila senza ritegno). Speriamo che l’iter processuale palermitano arrivi presto a conclusione definitiva. Se i pilastri reggeranno e le condanne saranno confermate, dovremo cominciare a chiederci in che Stato viviamo?


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