La mia Repubblica non avrebbe mai potuto licenziare il direttore a pochi giorni dal 25 Aprile

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Sono nato e cresciuto professionalmente nella redazione torinese di “Repubblica” e mi è quindi particolarmente difficile parlare delle vicende di questo giornale senza un coinvolgimento emotivo. Avevo poco più di vent’anni quando varcai per la prima volta la soglia della redazione di via Cesare Battisti che era guidata allora da Salvatore Tropea, giornalista acuto quanto severo.Eravamo all’alba di Tangentopoli e in quei giorni si respirava un’aria di cambiamento. Le riunioni erano un susseguirsi di notizie incredibili: un mondo, quello della cosiddetta prima repubblica (non il giornale…) si stava sgretolando davanti ai nostri occhi ed essere tra quelle scrivanie significava avere la sensazione di raccontarlo dalla parte giusta.Sì, ero orgoglioso di scrivere per il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari. Il 25 Aprile del 1994, pochi giorni dopo la prima vittoria elettorale di Berlusconi, con un milione di altri italiani, sfilai per le vie di Milano sotto a un diluvio torrenziale per dire No ai fascisti che erano appena ritornati al governo del paese. Il giorno successivo la prima pagina di “Repubblica” pubblicava la foto di una piazza Duomo gremita di ombrelli con il titolo: “Non Riprovateci”. Era davvero il “mio” giornale. Dico questo perché mai avrei immaginato che quella stessa azienda avrebbe potuto licenziare il direttore a pochi giorni da un 25 Aprile dal sapore particolare e nel giorno in cui migliaia di cittadini aderivano a campagna in sua solidarietà contro le minacce dei fascistelli del nuovo millennio.Per questo, anche se da qualche mese non sono più segretario del sindacato, voglio esprimere la mia solidarietà ai colleghi di Repubblica che oggi sono in sciopero.Nel suo comunicato il Comitato di Redazione scrive che “Repubblica” non è e non è mai stato un giornale come tutti gli altri. Vorrei dire però che se dovesse divenirlo per le scelte del suo nuovo editore, questo non sarebbe solo un problema per le donne e gli uomini che ci lavorano.Lo sarebbe anzitutto per il tessuto democratico di questo paese che perderebbe l’originalità di una delle sue voci più autorevoli. Occuparsene è un dovere per tutti.
Stefano Tallia, Consigliere Nazionale Fnsi, ex segretario Associazione Stampa Subalpina

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