Infopandemia: quando l’informazione diventa pandemica

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L’attuale crisi sanitaria causata dalla pandemia di Covid-19 ha portato con sé un’ ‘infopandemia’, ovvero un’esplosione di informazioni, in particolare sui canali digitali e sui social network, che non è sempre verificata. Se il Coronavirus rappresenta il piú grande nemico che il mondo sta affrontando in queste ultime settimane, il linguaggio con il quale viene rappresentato appare spesso confuso e fuorviante. La misura della quarantena obbligatoria, migliora e favorisce il contatto purtroppo con informazioni provenienti da tutti i tipi di fonti, in particolare i social network, aumentando la possibilità di diffusione di false informazioni. Nei media che hanno riportato i dati pubblicati il 2 febbraio 2020 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità sull’epidemia da coronavirus è ricorrente il termine infodemia, calco dell’inglese infodemic, descritto come “abbondanza di informazioni, alcune accurate e altre no, che rendono difficile per le persone trovare fonti affidabili quando ne hanno bisogno”.

L’OMS ricorre da tempo infatti, al termine infodemic, parola macedonia formata da information+epidemic, a cui spesso è associata la descrizione damaging “epidemic”generated through the rapid spread of rumours and false or misleading information during outbreaks’. Una infodemia è  quindi una metaforica “epidemia” di informazioni false o fuorvianti che si propagano con il diffondersi su larga scala di una malattia infettiva. Le infodemie si diffondono rapidamente grazie ai social e altri mezzi di comunicazione digitali; proliferano gli pseudoesperti che aumentano confusione, ansia e panico; possono crearsi situazioni pericolose in cui il pubblico è riluttante a seguire le indicazioni delle autorità sanitarie, al punto che potrebbe essere pregiudicata l’efficacia degli interventi previsti. Infodemic è una parola d’autore coniata da David J. Rothkopf e descritta in un articolo del 2003 sul Washington Post, When the Buzz Bites Back. Descrive lo sviluppo e gli effetti dell’epidemia di SARS, scoppiata in Cina nel novembre 2002, con conseguenze pesanti sull’economia, la politica e la sicurezza, non solo cinesi ma anche globali, del tutto sproporzionate rispetto agli effetti reali della malattia. Rothkopf identifica come causa principale le voci infondate e la disinformazione propagate e amplificate grazie all’interazione di vecchi e nuovi media e alla confusione tra siti specialistici e generalisti, che avevano diffuso voci e fomentato speculazioni che facevano leva su paure collettive.

Per avere delucidazioni sull’attuale emergenza mediatica scatenata dal Coronavirus ho intervistato il Prof. Marino D’Amore sociologo della comunicazione e docente dell’università Niccolò Cusano,che ha coniato il termine ‘infopandemia’.

“Professore sappiamo che in questo momento il linguaggio e la narrazione stiano giocando un ruolo fondamentale nel costruire un immaginario  collettivo ed una coscienza comune in cosa consiste l’infopandemia?”

“Il termine Infopandemia, ovviamente deriva da infodemia, e oltre a rappresentare una crasi tra information e pandemia si caratterizza come un arricchimento semantico del termine precedente che agisce su scala globale, soprattutto in ambito medico. Un’ipercomunicazione che edulcora la realtà, la rende fuorviante e la frammenta in tante componenti, intese come stimoli informativi tra loro contrastanti. In questo modo è impossibile trovare una fonte affidabile.

Tale ‘overload’ informativo delegittima chiunque si pronunci su tali argomenti e spinge i pubblici verso una confusa e profonda incomprensione di questi ultimi con relativa, e generalizzata, perdita di fiducia verso chi emette il messaggio, con conseguenze che si riflettono nei comportamenti sociali.

Il termine infopandemia inoltre agisce su tre livelli distinti:

  • il primo indica semplicemente il processo informativo che si attiva attorno all’argomento pandemia;
  • il secondo si riferisce alla mistificazione della realtà e delle informazioni relative già presente nel termine infodemia, ma che si allarga su scala mondiale grazie alla parte centrale della parola “pan”, ossia, dall’etimologia greca “tutto, intero”.
  • Infine il terzo, vuole evidenziare come la stessa informazione globale subisca la pandemia come patologia che ne indebolisce l’unità, la pone fuori controllo e la frammenta ulteriormente a livello nazionale e internazionale, influenzandone gli effetti.”

 

In questo particolare momento emergenziale le parole hanno un peso specifico. Sono soprattutto uno strumento di potere e di responsabilità: il potere di essere ascoltati e guadagnare autorevolezza e la responsabilità di influenzare masse d’individui. La loro incomprensione arricchisce paradossalmente di significato altre manifestazioni umane autoindotte o imposte come, appunto il distanziamento sociale. A una drammatica incognita medica ed emergenziale che si declina secondo dinamiche globalizzanti si oppone una giusta nemesi: l’efficacia speculare di uno strumento strettamente sociale come il distanziamento che ci accompagnerà ancora per tanto tempo.

“Professore un altro suo termine che ricorre in questo periodo è la pancomunicazione. in cosa consiste?”

“È esattamente il contrario dell’infopandemia, anzi il suo antidoto. In un momento storico in cui il virus ci separa attraverso il distanziamento sociale sono proprio le parole a mitigare, attraverso un’informazione mirata e puntuale, le divisioni e ad unire sforzi e finalità per uscire da un’emergenza che riguarda tutti. Per neutralizzare la frammentazione infopandemica occorre la costruzione di una pancomunicazione, ossia di una comunicazione strutturata a livello globale, come indica il prefisso pan anche in questo caso, risultato di una un’azione sinergica, condivisa, partecipata tra tutte le nazioni coinvolte. Una comunicazione ufficiale, globalizzata, multidisciplinare, che nasca dalla collaborazione tra medici, istituzioni, sociologi e psicologi e che concepisca, diffondendola, una verità imparziale e pluralista. Una modalità informativa che le restituisca credibilità nell’epoca della post-verità anzi come, preferisco chiamarla, dell’over verità o verità funzionale, quella che muta la sua forma secondo le circostanze e i suoi scopi. Una pancomunicazione, appunto, che combatta ogni individualismo e stimoli una volontà di comunità.

Il nostro auspicio dunque é quello di trovare una pancomunicazione che consenta all’Europa e al mondo di parlare un solo linguaggio e di trovare urgentemente una soluzione valida per tutti.


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