Ai colleghi… Voi lo capite vero, che questo giornalismo, fatto da remoto

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Voi lo capite, vero, cari colleghi ed amici, che questo giornalismo emergenziale fatto da remoto può rischiare di diventare una specie di regola perché di emergenze ne avremo ancora tante, passata questa?

Lo capite, vero, che è difficile chiamare giornalismo stare incollati ognuno alla propria scrivania, e ora neppure in redazione, ma accovacciati nei nostri studi casalinghi, a piluccare dispacci di agenzia e “stamparli” su filmati non si sa da chi girati, quando e come…

Lo capite, vero, che non è esattamente il massimo chiedere la conferma di quello che si apprende dai comunicati alle persone che sono proprio quelle che hanno confezionato il comunicato, e pensare che quella sia la verifica del fatto… Voi lo capite, vero, che abbiamo una bocca capaci di emettere suoni per poter fare domande, e chiedere risposte; e che quando qualcuno mena il torrone non è maleducazione obiettare: “Non ha risposto alla mia domanda”.

Lo capite, vero che quello che si mostra e si scrive molto spesso è qualcosa di freddo, noioso, burocratico, e che dobbiamo ringraziare chi ancora va sul “campo”, perché solo se si è sul “campo” scatta una particolare chimica con chi ci ascolta e legge. Con persone occorre parlare, ascoltarle: sono loro i protagonisti, noi quando va bene, siamo testimoni; e si deve respirare le atmosfere, calarcisi dentro, raccontare storie, e mostrare più che i nostri, i loro volti, i sorrisi e le lacrime, il pianto e le sofferenze; solo così questo nostro mestiere serve a qualcosa; voi lo capite, vero, che di questi tempi può perfino accadere di addormentarsi anche di fronte a servizi che durano appena un minuto, e di saltare a pié pari articoli scritti con immaginifico stile, ma che sono sterile esercizio da mestierante; che nulla hanno della ruvida fascinazione di un Montanelli, del primo Bocca, di un Ettore Mo, di un Giangaspare Napolitano, di un Egisto Corradi; o se si va per immagini, di un “Jo” Marrazzo o di un Carlo Mazzarella…

Lo capite che in nome di questa drammatica emergenza si sta creando un precedente che verrà usato in futuro, un futuro non troppo lontano: dove degli “esperti” riterranno che si può fare a meno del dialogo e del contributo di una squadra; e ci troveremo soli davanti a uno schermo capaci di tutto e di nulla insieme, e magari qualcuno ne sarà anche compiaciuto…

Lo capite, vero, colleghi ed amici che una cosa vista in prima persona, ascoltata, verificata sul posto, vale mille sofisticati software e nessun tablet potrà mai sostituire la palpitante scrittura manuale su un taccuino…Voi lo capite, vero, che questo non è un nostalgico riflesso di pigro che rifiuta le “nuove tecnologie”, piuttosto un chiedere e chiedersi: sicuri che si stia facendo la cosa giusta?

Gli italiani sono stati imbrogliati ricevendo un eccesso ingombrante e ansiogeno di pseudonotizie costruite da un giornalismo largamente incompetente e poco professionalizzato”. Così conclude il suo intervento il sociologo e studioso della comunicazione Giovanni Bechelloni; era un convegno a Saint Vincent, “Verso il diritto all’informazione”, moderati, pensate, da Jader Jacobelli. Il volume che raccoglie quegli interventi, come data porta 1991.  Dunque, cari colleghi ed amici, voi lo capite, vero…?


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