“Confidenza” – di Domenico Starnone

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“Far chiarezza all’interno della vita di coppia, mah, forse è un dovere, ma anche un lusso che è rischioso permettersi”.

Mi colpisce questa affermazione nell’ultimo romanzo di Domenico Starnone, Confidenza, e ne rimango catturato, perché ancora sotto l’influenza del Centenario Felliniano, mi è sembrato di scorgervi un’impronta inconfondibile di Otto e Mezzo, il film dei film del Maestro riminese. 

Come tutte le confessioni pubbliche degli artisti, che diventano nutriente letteratura, lo scrittore racconta sé stesso senza cautele, schermandosi dietro una fragile controfigura di nome Pietro, docente di liceo, appassionato del suo lavoro seppur indolente nella vita, il quale viene baciato all’improvviso da un singolare destino. Pubblicando quasi per gioco un pamphlet sulla scuola italiana, il protagonista diventa a sorpresa molto famoso nel suo ambiente, crescendo rapidamente ad autentico caso letterario. Viene chiamato in ogni angolo d’Italia, coccolato e promosso dalla sua casa editrice, e si trasforma in breve in un autore ogni giorno più celebre, ricco e osannato. Un’avventura travolgente e fortunata che sconvolge la sua vita matrimoniale di fresco marito e giovane padre, mettendo seriamente a dura prova l’intero assetto familiare, privato e amoroso. Ma il terremoto, benché inaspettato, in realtà ha radici lontane e alquanto oscure, di cui lo scrittore ci mette al corrente senza pudore. 

Nella spensierata prima gioventù Pietro ha intrattenuto una lunga storia d’amore, incandescente e burrascosa, con Teresa, una studentessa di liceo che si era perdutamente innamorata di lui da quando aveva sedici anni e che, allo scoccare della maturità, scolastica e anagrafica, l’aveva letteralmente irretito. O forse s’era lasciata irretire con sagacia, se confessa: 

“Ora io l’avevo colmata, quella distanza, e pretendevo che mi desse non ciò che già avevo ricevuto in aula ma ciò che nessuno se non io adesso poteva ricevere. Lui l’ha capito forse un attimo prima che gli dichiarassi il mio amore, un attimo prima che lo baciassi. Volevo di più, di più, e non sesso, ma il modello iperuranio a cui mi pareva che dovesse rimandare la persona che compariva ogni giorno in classe. Sennonché o quel modello non c’era o lui fin dal primo momento me l’ha nascosto ed è passato ad abbagliare altre ragazze come se non gli bastassi”.

L’ex alunna, intelligentissima, spregiudicata e indocile, aveva finito per stringerlo nelle proprie maglie al punto che lui non potesse più evaderne, tra un tira e molla di fughe e riconciliazioni, di tradimenti e possessioni deliranti, da cui erano riusciti a riemergere soltanto quando lei, inseguendo estro e talento, aveva lasciato l’Italia per cercare oltre Atlantico la sua strada. Non prima tuttavia di concepire e stringere un accordo perverso e vizioso di reciproca dipendenza, sapendo che comunque non avrebbero potuto fare a meno l’uno dell’altra: raccontarsi un segreto personale, orribile, inconfessabile, l’azione più vergognosa e innominabile che avevano compiuto e che non riuscivano a cancellare dalla propria coscienza; l’atto di cui si erano macchiati in maniera così indelebile che, se risaputo, avrebbe potuto distruggere per sempre la loro immagine, la loro carriera, la loro presunta integrità morale e sociale. Un giuramento, ammette lui, che avrebbe suggellato il loro “matrimonio etico”; in concreto un ordigno a orologeria di cui ognuno di loro avrebbe potuto avvalersi, qualora l’una o l’altro avesse un giorno tradito l’essenza stessa di quel vincolo indisgiungibile. 

Una follia amorosa. Che fatalmente ritorna a galla il giorno in cui Pietro incontra la ragazza della sua vita, diametralmente opposta a Teresa. Lei si chiama Nadia, abita a Roma come lui, ed è una collega di matematica di buona famiglia borghese, aspirante a una carriera accademica all’Università di Napoli: 

“Era schiva, contenuta, persino quando diceva buongiorno, gentilissima, il contrario di Teresa; lontanissima dal tipo di donna che mi attraeva”. 

Pietro si innamora all’istante della sua ritrosia, della sua morbidezza “dopo tanti spigoli.” Lei, fidanzata, gli resiste a oltranza fino a quando, accettando un bacio appassionato in macchina, gli cede di schianto. È proprio la creatura da sposare, con cui mettere su famiglia, unirsi nella chimera di una vecchiaia insieme allietata da figli e nipoti. A dispetto di un tarlo sordo e molesto: “Calma, rifletti, non puoi passare da un modello femminile al suo rovescio”.

Accade infatti che pochi giorni prima delle nozze, Teresa magicamente ricompare. Sembrerebbe che gli anni non siano mai trascorsi, e la distanza che si era tanto allargata tra loro si annulla in un amen con la vicinanza fisica. La vicenda, inutile aggiungerlo, si ingarbuglia, e Pietro da quel momento vive nel terrore che Teresa, bizzosa, crudele e imprevedibile, finisca per rivelare al mondo ciò che non può e non deve essere rivelato. Meno che mai ora che Pietro, grazie alle sue pubblicazioni, è diventato un personaggio mediatico, con stuoli di ammiratrici pronte a compiacerlo e una direttrice editoriale, Tilde, attraente e di gran classe che, benché sposata, lo brama spiando l’attimo nelle tante trasferte promozionali e ‘galeotte’. 

Il romanzo di lunghezza ideale, appena 141 pagine sapientemente avvolgenti, tiene incollati alla pagina fino alla sua risoluzione, avvalendosi di introspezioni e scavi psicologi di alta maestria e un taglio narrativo infallibile nella nobile scuola di Mario Soldati. Ma se volete sapere quale fosse quel peccato innominabile, dovete attendere di avere il libro tra le mani, non tradirei mai la fiducia. Posso in cambio confessare qualcosa che mi ha colpito profondamente. Leggendo il romanzo si prova l’impressione di una certa familiarità con gli ‘attori’ della storia, e riflettendoci meglio scopriamo che alcuni di essi, a iniziare dal protagonista, li abbiamo già conosciuti con connotati e vicende leggermente diversi, in una delle più fortunate epopee letterarie di quest’ultimo decennio: L’amica geniale, in quattro tomi, a firma di Elena Ferrante, ossia Anita Raja legittima consorte di Starnone. 

Ecco perché all’inizio ho accennato a Otto e Mezzo di Fellini, che Starnone in questa sua ultima opera assai ben riuscita, sembrerebbe ricalcare apertamente: “Narrare significa mentire, e meglio racconta chi meglio mente”

L’impianto narrativo del sommo regista, il quale racconta sullo schermo un film da fare che in realtà è quello a cui stiamo assistendo passo passo, al punto che non siamo più in grado di disgiungere la storia vera da quella fittizia, sembra riprodursi nel romanzo di Starnone in cui i personaggi appaiono riflessi speculari dei caratteri che abbiamo già avuto sotto gli occhi nelle pagine de “L’amica geniale”. Cambia soltanto il punto di vista, lì femminile, qui maschile. A me sembra infatti che Pietro, il protagonista, sia proprio Nino, il bel tenebroso di cui Lena è da sempre innamorata, fin da adolescente, e che riuscirà a sposare ma non prima che gli sia stato soffiato sotto il naso da Lila, l’inseparabile amica eccezionalmente dotata alla quale resterà legata per tutta la vita. Le scene si confondono, ma sono effimeri fondali intercambiabili, come le pareti a telaio dei set cinematografici. Ciò che conta invece è la scrittura, la tessitura delle parole; è sempre lo stile che svela il colpevole. Leggendo “Confidenza” ci assale prima un dubbio e poi la spavalda certezza, di trovarci di fronte a un’identica scrittura, a un medesimo stile.  E il bengala si accende inevitabile: il materiale narrativo de “L’Amica geniale” probabilmente è frutto di Anita Raja, ma la stesura, il rimaneggiamento, la mano in cucina, appartiene inequivocabilmente a Starnone. 

Ecco dunque spiegata la ragione di tutto quel mistero sull’autrice della fortunatissima saga partenopea, che proprio in queste settimane ritroviamo trasposta in immagini sugli schermi della RAI. E mi è tornata in mente una recente intervista, su La Lettura, in cui Antonio d’Orrico all’ultima battuta pone una domanda trappola allo scrittore: “È lei Elena Ferrante?” “No” risponde lui fulmineo. Un’asserzione talmente drastica e frettolosa che ci induce a credere esattamente il contrario. Buon divertimento. “


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