L’omelia di Francesco nella giornata per i poveri. “Non basta l’etichetta per essere credenti”

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Da quando c’è Papa Francesco non è inusuale sentir parlare di poveri durante le celebrazioni a San Pietro. Anzi, poveri, discriminati, perseguitati, detenuti, sono divenuti soggetti citati con frequenza. Questo può aver giustificato un po’ di disattenzione all’omelia di Francesco in occasione della prima giornata mondiale per i poveri. Eppure questa distrazione è grave, perché come spesso accade Bergoglio ha pronunciato un discorso sorprendente, dal profondo valore culturale. E cosa avrebbe detto di così importante sui poveri? Non c’era bisogno neanche di seguire tutta l’omelia per arrivarci, dato che la prima affermazione sulla quale soffermarsi è arrivata subito. “Oggi, nel Vangelo, Gesù sorprende i suoi contemporanei e anche noi.

Infatti, proprio mentre si lodava il magnifico tempio di Gerusalemme, dice che non ne rimarrà «pietra su pietra» (Lc21,6). Perché queste parole verso un’istituzione tanto sacra, che non era solo un edificio, ma un segno religioso unico, una casa per Dio e per il popolo credente? Perché queste parole? Perché profetizzare che la salda certezza del popolo di Dio sarebbe crollata? Perché, alla fine, il Signore lascia che crollino delle certezze, mentre il mondo ne è sempre più privo? Cerchiamo risposte nelle parole di Gesù. Egli oggi ci dice che quasi tutto passerà. Quasi tutto, ma non tutto. In questa penultima domenica del Tempo Ordinario, Egli spiega che a crollare, a passare sono le cose penultime, non quelle ultime: il tempio, non Dio; i regni e le vicende dell’umanità, non l’uomo. Passano le cose penultime, che spesso sembrano definitive, ma non lo sono.” Capito? Le cose penultime… Chi è attento alle cose penultime, i regni, quindi il potere, i suoi simboli per i quali tanto ci danniamo. Non passano però le cose ultime, tra le quali cita Dio e l’uomo. Dunque pensare all’impero (magari diciamo con un riferimento alle ricorrenze di questi giorni quello sovietico) e dimenticarsi dei poveri non aiuterà. Il discorso riguarda tutti, anche quei fedeli che più che a Dio pensano alle istituzioni, alle cose penultime,

Dunque bisogna capire cosa conti davvero. E quindi resistere alle tentazioni più gravi. Lui ne ha citate due. La prima è la fretta. Il Vangelo, ha ricordato, non dà credito a chi diffonde allarmismi, annunciando la prossima fine del mondo magari.  “Eppure, quante volte ci lasciamo sedurre dalla fretta di voler sapere tutto e subito, dal prurito della curiosità, dall’ultima notizia eclatante o scandalosa, dai racconti torbidi, dalle urla di chi grida più forte e più arrabbiato, da chi dice “ora o mai più”. Ma questa fretta, questo tutto e subito non viene da Dio. Se ci affanniamo per il subito, dimentichiamo quel che rimane per sempre: inseguiamo le nuvole che passano e perdiamo di vista il cielo.” Ecco come si finisce con il pensare, con il preoccuparsi per il vicino, il prossimo, il bisognoso. E’ la cultura della fretta, così diffusa oggi, in questi tempi di connessione frettolosa. Un tempo nel quale occorre correre, avere tutto subito, anche l’ultimo smartphone, e chi rimane indietro ci dà fastidio. Anzi, chi rimane indietro è uno scarto. Per esempio: dobbiamo avere l’ultimo smartphone, altrimenti ci considereranno degli scarti. Devo correre, non posso preoccuparmi di altro, di altri.  Ma la piazza, cioè i fedeli, dovrebbero aver capito bene Bergoglio quando li messi in guardia dal secondo pericolo: Citando il passo evangelico ha ricordato che Gesù vi dice che molti verranno dicendo di essere Lui, e aggiungendo “non andate dietro a loro.” Dunque non basta l’etichetta per essere credenti. Cosa serve? Io credo che c’entrino i poveri: tutto sommato il discorso delle beatitudini, cuore del messaggio evangelico comincia dicendo “beati i poveri di spirito…” Possibile dimenticarli seguendo qualcosa che dice di essere fede in Dio, ma è altro?


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