L’équipe osservazione e trattamento a garanzia del corretto esercizio amministrativo dell’esecuzione carceraria

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Come nel periodo in cui Pasolini, nei suoi Scritti corsari, riprendeva temi di attualità mostrando concezioni in contro tendenza rispetto a uniformanti risposte della società, avendo ben chiare le relazioni intessute a livello sociale e di borgata per le frequentazioni e le amicizie strette mentre girava i suoi film, così oggi l’expertise del trattamento, allo stato funzionari/e, vivendo quotidianamente il campo della “nuda vita*” dei ristretti, e le aporie dell’organizzazione complessa della vita detentiva, devono rimarcare e far conoscere il lavoro e l’educazione alla libertà (socializzazione) condotto nei riguardi della popolazione detenuta, pena la diffusione di confusionarie risposte circa le funzioni loro attribuite dalla legge dello Stato, oltre che dalla Carta costituzionale. Il complesso quadro indicato dalla sociologa Francesca Vianello nell’articolo (Questione giustizia fasc.3/2018) dal titolo Cultura giuridica ed esecuzione della pena: processi decisionali in tema di misure alternative alla detenzione, seppur in un’ottica di dissenso circoscritta in special modo alla magistratura di sorveglianza, di cui si rimarca il prevalente contenuto di premialità delle misure trattamentali rispetto al fondativo significato del trattamento alternativo alla detenzione, ha delineato un quadro poco rispondente alla realtà, svilente delle professionalità e degli esperti attualmente impegnati sul campo dell’esecuzione della pena detentiva. I funzionari giuridico pedagogici, già educatori penitenziari, essendo in numero residuale rispetto agli operatori della sicurezza, rimarcano il dover soggiacere a un primo, generale orientamento in chiave securitaria della pena. La figura professionale nasce come testimone di vita, a seguito della riforma del ’75 e sulla scia delle uniche personalità civili autorizzate ad accedere negli istituti di prevenzione e pena in qualità di operatori di ascolto, gli assistenti volontari, tuttora presenti. La sociologa solleva la questione della debole attinenza del titolo di studio ma al riguardo, oltre che sottolineare l’apertura del bando di concorso (2003) a molteplici classi di laurea (anche sociologia) e alla idoneità riconosciuta rispetto a materie come la scienza dell’organizzazione, la criminologia, la pedagogia e il diritto penitenziario e costituzionale, non fa i conti con la maturità e l’esperienza che si acquisiscono sul campo poste le spinte alla burocratizzazione della professione, ai compiti di trattamento riconosciuti in tal senso anche alla polizia penitenziaria e allo spauracchio della soppressione volontaria della vita dei reclusi, mai intesa come inopportunita’ della risposta penale al singolo caso ma come responsabilità collegata all’inoperosita’ o agli errori compiuti dai suoi operatori. La “Medea di Rebibbia” ci insegna.

Il carcere, oltre che essere istituzione totalizzante, presenta una complessità generata dalla parcellizzazione operativa delle diverse esigenze della persona umana in stato di interdizione della libertà personale. Le 5 aree operativo istituzionali: sicurezza, organizzazione e relazioni, trattamento, contabilità e sanitaria delineano la disomogeneità e la variabilità organizzativa del carcere (l’ultima nota firmata dal nuovo capo del dap Basentini riconosce la necessità di avviare procedure uniformanti e standardizzate sia a livello centrale che periferico). Il trattamento penitenziario volto alla socializzazione del reo dovrebbe rappresentare il focus intorno a cui costruire l’organizzazione carceraria mentre rimane area “servente” e di “mediazione” alla sicurezza.

Ritornando alla cultura di riferimento, in genere rappresentativa degli studi compiuti, gli errori di ogni amministrazione dello Stato sono state le riqualificazioni attuate in assenza dei titoli culturali per le categorie di concetto; oggi si chiede a funzionari pedagogici laureati, vincitori di concorso, in possesso di master e qualvolta, di dottorati di ricerca di formarsi nuovamente come pedagogisti in base alla legge n.205/2017, anticostituzionale in base all’art.3 perché non avendo validita’ erga omnes, esclude le persone più anziane di servizio, forse, in alcuni casi, meno versatili e legate a desueti modelli educativi improntati sulle necessità del sistema piuttosto che orientate a favorire l’autonomia di un modello educativo che si fondi sull’esclusività dell’orientamento costituzionale. Nel merito della singolarità e del necessario requisito del ravvedimento critico, ciò rimane questione aperta, di difficile valutazione anche da parte della magistratura che deve giudicare di nuovo quel soggetto in termini di risolutezza avvenuta, certa, per scongiurare che eventi dello stesso tipo possano riprodursi in società e con un occhio di fiducia sul documento amministrativo di équipe elaborato dal gruppo di osservazione e trattamento carcerario.

La sociologia contemporanea tratteggia un serio problema di populismo penale, non solo in Francia ma anche nel contesto europeo**. Si è sostituita la pena al debito, si è preferita la retribuzione piuttosto che la riparazione; chiediamo però agli esperti che vivono le università di affrontare le questioni carcerarie con una visione non ideologizzata, calandola nel contesto, evitando forme di “populismo penitenziario” atte a depotenziare il lavoro condotto dagli esperti ex art.80 O.P., dei funzionari del trattamento, di servizio sociale e dei direttori.
E da studiosa delle scienze politiche concludo con la considerazione di René Char: “La nostra eredità non è preceduta da alcun testamento.” ***

*Giorgio Agamben, Homo sacer, Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, 1995
**Didier Fassin, Punire, Feltrinelli, Milano, 2018
*** Concetto ripreso da H.Arendt in La Vita della mente


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