Quegli amministratori sempre sotto tiro

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di Doris Lo Moro

All’inizio degli anni ‘90, dopo decenni di disattenzione che avevano prodotto, soprattutto in alcune zone del Paese, abbandono e marginalità, il Parlamento approva due leggi destinate a incidere profondamente sulla vita dei Comuni italiani: la legge n. 221 del 22 luglio 1991 che introduce l‘istituto dello scioglimento dei consigli comunali e provinciali per “fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso” e la legge n. 81 del 25 marzo del 1993 che prevede l’elezione diretta dei Sindaci e dei Presidenti delle province. Nell’epoca successiva, se non può certo dirsi che le cose siano cambiate radicalmente, non c’è però dubbio che quello che succede sul territorio diventa più leggibile per un verso per i numerosi decreti di scioglimento di Consigli comunali (289 dalla data di entrata in vigore della legge) e per un altro, di segno opposto, per le buone pratiche che si radicano in numerosi enti locali, su tutto il territorio nazionale, per opera di amministratori fortemente motivati dal mandato elettorale diretto, spesso operanti in rete, con il contributo fondamentale di associazioni storiche (Anci, Legautonomie) o di nuova istituzione (come Avviso Pubblico, una rete di enti locali nata nel 1996 per la promozione della cultura della legalità e della cittadinanza responsabile).
Mentre si monitora l’applicazione della legge sullo scioglimento, più volte modificata, che non sembra in grado di fronteggiare in maniera efficace la pressione della criminalità organizzata sui governi locali, da Legautonomie Calabria parte l’allarme per un altro fenomeno in crescita, quello delle intimidazioni agli amministratori locali, gli “amministratori sotto tiro” a cui successivamente Avviso Pubblico dedicherà un rapporto annuale.
Per indagare su questo fenomeno, su cui continuava ad esserci una incredibile sottovalutazione da parte delle Istituzioni, è stata istituita al Senato, nella XVII legislatura, in cui sono stata Senatrice, una commissione parlamentare d’inchiesta di cui sono stata prima proponente e poi Presidente.
In realtà, la mia storia politica di Sindaco eletto nel 1993 in una città, Lamezia Terme, che usciva da uno scioglimento per infiltrazioni mafiose (e che peraltro ha subito successivamente due nuovi decreti di scioglimento nel 2002 e nel 2015) e di assessore regionale alla sanità sotto scorta nella legislatura apertasi in Calabria con l’omicidio del vicepresidente del Consiglio regionale, Franco Fortugno, mi aveva messo tante volte davanti a interrogativi a cui era difficile dare delle risposte: che relazione c‘è tra le infiltrazioni e le intimidazioni? Le intimidazioni sono di matrice mafiosa? Cosa succede dopo le intimidazioni?
Gli amministratori minacciati sono sempre onesti? Conoscere il fenomeno serviva a trovare risposte e possibili rimedi da parte di uno Stato che doveva assumersi le sue responsabilità e tutelare gli amministratori onesti.
Risultati dell’inchiesta. L’inchiesta, durata un anno, ha prodotto risultati apprezzabili. Con riferimento al periodo oggetto d’indagine (16 mesi) sono stati acquisiti elementi e dati su 1.265 atti intimidatori, registrati soprattutto nel Sud e nelle isole ma presenti anche nelle regioni centrali e settentrionali (con la sola eccezione della Valle d’Aosta, esente dal fenomeno).
Significativi, in particolare due dati: solo per 182 episodi risultavano individuati i responsabili, ignoti per l’85,6 per cento del casi (dato su cui incide la scarsa collaborazione delle vittime, dovuta spesso alla difficoltà di individuare un movente per la vastità dell’azione amministrativa, che però produce sfiducia nei risultati delle indagini e genera a sua volta scarsa collaborazione) e solo nel 13,7 per cento dei casi è stata individuata una matrice mafiosa (nelle regioni più colpite vi è spesso un forte radicamento della criminalità organizzata che incide sul contesto sociale ed istituzionale, spesso degradato, più che sulle singole intimidazioni).
A seguito dell’inchiesta, sono stati depositati quattro proposte di legge ed è stato istituito un Osservatorio permanente del fenomeno presso il Ministero dell’Interno. La proposta di legge più significativa, che raccoglieva la richiesta di maggiore tutela degli amministratori, è stata approvata ed è diventata legge (n. 105 del 2017).
Non sono state create nuove figure di reato ma si è rafforzata la tutela degli amministratori, estendendo, in particolare, ai singoli componenti la tutela prevista dall’art. 338 del codice penale per i “corpi politici”. Questo amplia i mezzi di ricerca delle prove e consente misure (anche privative della libertà personale) prima non applicabili. Si rafforza la tutela degli amministratori onesti e, al contempo, si potenzia il contrasto delle collusioni e delle complicità, alle quali il mondo degli enti locali non è certo estraneo.
Sotto alcuni profili l’indagine, che era finalizzata ad acquisire elementi di conoscenza e di valutazione del fenomeno delle intimidazioni agli amministratori locali, è andata oltre le aspettative.
Gli omicidi. Il primo dato da sottolineare è quello relativo agli amministratori uccisi. Il tema è emerso sin dalle prime battute dell’indagine, nel corso delle audizioni di Legautonomia Calabria e di Avviso Pubblico. In mancanza di dati ufficiali, la Commissione si è posta l’obiettivo di ricostruire nomi e storie degli amministratori uccisi negli ultimi quarant’anni. La ricerca ha prodotto risultati impressionanti che erano stati sottovalutati anche perché non conosciuti nella loro effettiva entità. Sono stati 132 gli omicidi consumati dal 1974 in poi.
Si tratta nella stragrande maggioranza di uomini, ma ci sono anche tre donne, l’età media non supera i 46 anni, appartenevano a tutti gli schieramenti politici e vivevano prevalentemente in regioni meridionali (Sicilia, Campania, Calabria). Si tratta di persone di cui spesso si è perso persino il ricordo. Per alcuni solo recentemente si è intitolata un’aula, una strada, un parco. Molte famiglie a distanza di anni chiedono verità su quanto accaduto. Contrariamente a quanto rilevato per le intimidazioni, in gran parte (nel 47 per cento, secondo i dati elaborati dalla Commissione) l’uccisone dell’amministratore locale è riconducibile a matrice mafiosa (come avviene per le intimidazioni e le minacce più gravi).
La cifra oscura delle dimissioni. L’indagine sugli atti intimidatori ha riguardato necessariamente gli episodi denunciati o comunque rilevati dalle autorità preposte. Si tratta, pertanto, di un dato che non tiene conto degli episodi non disvelati. Nel corso dell’indagine, è emerso un elemento assai significativo: dietro le dimissioni (personali o collettive) di amministratori può celarsi un’intimidazione che ha ottenuto l’effetto di allontanare l’amministratore dalla gestione della cosa pubblica. Dalla documentazione acquisita sono emersi almeno 70 casi di dimissioni rassegnate negli ultimi quarant’anni a seguito di atti intimidatori; per 21 di tali casi alle dimissioni è conseguito lo scioglimento del consiglio comunale. Mentre era in corso il lavoro d’inchiesta, si è registrato un caso del genere, grazie alla testimonianza del Sindaco di un comune calabrese, i cui organi erano stati sciolti a seguito delle dimissioni dei consiglieri comunali (destinatari di minacce e di intimidazioni).
Non sono in grado di sapere se l’Osservatorio presso il Ministero dell’Interno stia monitorando la situazione e se l’applicazione della nuova legge stia aiutando in maniera significativa le indagini. Certo è che il grado di consapevolezza raggiunto non consente il perdurare di disattenzione e sottovalutazioni. Alla data di audizione del Ministro dell’Interno dell’epoca da parte della Commissione (29 luglio 2014) erano attive 341 misure di protezione nei confronti di amministratori locali (8 misure tutorie ravvicinate ministeriali, 8 misure tutorie ravvicinate di competenza prefettizia, 322 misure di vigilanza generica radiocollegata e 3 misure di vigilanza dinamica dedicata). Un dispendio di energie e di risorse che non era riuscito a disvelare la gravità della situazione.
Intanto, anche nel 2017 e nell’anno corrente i dati relativi ai decreti di scioglimento e alle intimidazioni continuano a crescere e varie indagini convalidano la necessità di verificare il comportamento degli amministratori, prima e dopo le minacce, per rafforzare la reazione e spezzare la solitudine degli amministratori onesti e, al contempo, per isolare e neutralizzare quelli che si consegnano ai clan o ne sono espressione.

Da mafie


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