Venezia 2018. “La favorita”, apologo sul potere attraverso biografie femminili

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“La favorita” del regista greco Yorgos Lanthimos ha affascinato il pubblico della mostra di Venezia. Con una narrazione elegante, sontuosa e sensuale, Lanthimos ha trasformato una vicenda storica, accaduta in Inghilterra agli inizi del secolo XVIII, in un apologo sul potere incarnato da donne.

Anna Stuart divenne regina di Inghilterra, ScoziaIrlanda l’8 marzo 1702. Poco dopo l’ascesa al trono la regina Anna scelse Lord Marlborough come capitano generale e gli diede il comando dell’esercito. Sua moglie, Sarah duchessa di Marlborough, fu nominata Mistress of the Robes, la più alta carica cui una donna potesse aspirare. I rapporti tra Anna e la duchessa di Marlborough si deteriorarono durante il 1707. La duchessa aveva un cattivo carattere e Anna cominciò a preferirle un’altra sua amica, Abigail Masham, baronessa Masham. Tale è l’antefatto intorno a cui si snoda una spirale di brama, servilismo, desiderio di riscatto, avidità, disperazione, odio, indissolubilmente legato alla simbiosi sessuale, in questo caso omosessuale, cemento del dominio. L’Inghilterra è in guerra con la Francia, ma la regina Anna (Olivia Colman) ha attenzione solo per gli opulenti banchetti e il divertimento sfrenato. A occuparsi del regno è la collaboratrice Lady Sarah Marlborough (Rachel Weisz), che si prende cura della cagionevole salute di sua maestà. Tutto cambia con l’arrivo a corte della nuova cameriera Abigail Masham (Emma Stone), parente di Sarah e pronta a tutto per liberarsi di un passato feroce. Dopo essere entrata tra le grazie di Sarah Marlborough , Abigail manovra con insospettabile intelligenza per scalzarla come favorita della regina.

Sceneggiato da Deborah Davis e Tony McNamara, interpretato benissimo da tre autentiche fuoriclasse, diretto con raffinatezza da Lanthimos, “La favorita” regala al pubblico due ore di grande voluttà. Non pochi critici vi hanno scorto una rappresentazione della condizione femminile al potere nel secolo diciottesimo, ma a me è parso più un apologo sul potere, in senso generale, questa volta rappresentato da donne. Le dinamiche di guerra, invidia, gelosia e – di conseguenza – sottomissione e perdita delle dignità, sono una condizione psichica asessuata. Un film godibile e doloroso, pregno di quella pietas per l’umana pochezza che distingue anche chi è in cima alla piramide sociale e che il dominio sugli altri non cancella.


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