Di Maio e Salvini parlano il linguaggio dei nazionalisti, della destra reazionaria europea.

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“Agli italiani ci pensiamo noi”, la risposta alle critiche dalla Ue. Istat segnala una ripresa che non c’è. Federconsumatori: cresce il disagio delle famiglie

Di Alessandro Cardulli

Parla come Vicktor Orban, il leader reazionario ungherese, Matteo Salvini. È pronto per iscriversi al “quartetto” di Visegrad, di cui, con Orban, fanno parte i leader di Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia. Tutti insieme fanno concorrenza a Marie Le Pen. Insomma una bella compagnia. Mica se ne vogliono andare dalla Unione europea come ha fatto la leader inglese Theresa May. Loro insieme ad altri, fra cui l’austriaco Martin Sellner, leader di Generazione identitaria, una formazione di estrema destra, vogliono dettar legge nei paesi dove ricoprono importanti cariche politiche, andando alla conquista di posizioni di potere nella Unione europea, spostandola sempre più su posizioni  di destra, cavallo di battaglia fili spinati, campi di concentramento, espulsioni, morte in mare a migliaia, chi se ne frega, restino nei loro paesi. Matteo Salvini non raggiunge ancora vette simili, si accoppia con Marie Le Pen, ma il tono dei suoi interventi mentre annusa l’odore del potere è di quelli tipici  dei nazionalisti, oggi si chiamano sovranisti, populisti e chi più ce ne ha più ne metta. Parole da non confondere con “popolari”, “sovranità” che sono sostantivi della democrazia, come recita anche la nostra Costituzione che viene stracciata, in questa fase di formazione del governo del paese, da Salvini, e da Di Maio che lo tallona nello sfregio alla Carta, il faro della democrazia italiana. Non si peritano di fare sgarbi allo stesso Presidente della Repubblica che della Costituzione è il garante. Intanto è davvero singolare il fatto che Salvini che è stato parlamentare europeo non sappia come funziona la Unione europea. Forse ha frequentato poco l’organismo eletto dai popoli dei paesi aderenti. E induce Di Maio a gaffe clamorose. Ambedue se la prendono contro i burocrati di Bruxelles, di Francoforte, linguaggio comune ai “quattro” di Visegrad.

Il Parlamento europeo legittimato dalla elezione diretta

Sia chiaro, sul funzionamento del Parlamento Europeo se ne possono dire molte, le critiche non mancano, così come sul funzionamento delle  Commissioni Ue. Vediamo i fatti: Il Parlamento europeo è legittimato dalla elezione diretta dei cittadini. I Commissari scelti per governare l’Unione devono ricevere l’assenso del Parlamento. Addirittura devono ricevere un certificato di idoneità alla guida di una Commissione. Ne sa qualcosa Rocco Buttiglione che fu giudicato non idoneo a guidare la Commissione sicurezza, giustizia, libertà. Allora Di Maio, tanto saccente, tanto ignorante, nel senso che ignora ciò di cui parla, dovrebbe smetterla di parlare di burocrati. Criticare i commissari e il lavoro delle Commissione è del tutto legittimo, anzi è necessario. Ma chi pretende di governare ha il dovere di fare proposte, avanzare soluzioni, indicare progetti per rafforzare l’Unione europea, per cambiarne gli indirizzi. Il nostro paese, uno dei soci fondatori, ne ha il pieno diritto, direi un dovere. Forse Di Maio e Salviani non l’hanno mai letto, ma dovrebbero perlomeno conoscere l’esistenza del Manifesto di Ventotene, titolo “Per un’Europa libera e unita”, scritto da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi nel 1941 durante il periodo di confino presso l’isola di Ventotene, nel mar Tirreno, per poi essere pubblicato da Eugenio Colorni, che ne scrisse personalmente la prefazione. Invece no. Se Di Maio se la sbriga attaccando i “burocrati”, Salvini, che non ha molta fantasia, guarda caso, riprende una immagine tanto cara a Renzi Matteo. Vediamo. il ministro degli esteri del Lussemburgo, Jean Asselborn, espressione di un governo eletto democraticamente, ha affermato: “spero che Mattarella non permetta al nuovo governo italiano di distruggere tutto il lavoro fatto in questi anni in Europa”. Risponde Salvini: “All’estero stiano sereni. Agli italiani ci pensiamo noi”. Frase infelice: stai sereno, furono le parole rivolte da Renzi Matteo e Enrico Letta, allora presidente del Consiglio.

Leghisti e 5S se la prendono con il commissario Ue Dombrovskis

In particolare Di Maio e Salvini se la prendono con il vicepresidente della Commissione europea, Valdis Dombrovskis, che in una intervista ha detto che “la Commissione europea in linea di principio non interferisce con le politiche nazionali ma per noi è importante che il nuovo governo italiano conduca una politica di bilancio ragionevole”, perché “l’Italia ha il più alto debito pubblico nell’area dell’euro dopo la Grecia”. Dombrovskis ha proseguito: “Tutto ciò che possiamo fare è mantenere la politica economica e fiscale, stimolare la crescita con riforme strutturali e tenere sotto controllo il deficit di bilancio” ricordando che l’Italia ha il secondo più alto debito nazionale della zona euro preceduta dalla Grecia. La Commissaria al Commercio Malmstroem ha affermato che ancora non  sono state  affrontate tutte le questioni, e che sono stati ravvisati “alcuni elementi preoccupanti nelle idee di politica commerciale del nuovo governo”.

Critiche da ogni parte di Europa. Il peso del debito pubblico

Certo, per chi come Di Maio, dice che si sta “costruendo la storia” sono dure da digerire le critiche che arrivano da ogni parte d’Europa, a partire dai media. Non è un caso che il problema numero uno del nostro Paese, il debito pubblico venga praticamente ignorato. Nel 2018 ha superato i 2.300 miliardi di euro. Rispetto al Pil, è pari al 132%, più del doppio rispetto alla regole europee che l’Italia ha sottoscritto. Solo il Giappone ci supera in questa graduatoria toccando il 200%. Per non parlare dell’Iva destinata ad aumentare colpendo i redditi già esigui della grande maggioranza delle famiglie italiane. Ci viene da pensare che i Cinque stelle e i leghisti formulino le loro proposte sulla base dei dati forniti dall’Istat dove tutto va sempre bene, anzi sempre meglio dimenticando che devono essere trovati 12,5 miliardi di euro per il 2019 e 19,1 miliardi di euro per il 2020 a copertura dell’operazione per evitare l’aumento dell’Iva che peserebbe sui già magri bilanci di milioni di famiglie. Il governo Gentiloni ha dovuto stanziare 15 miliardi di euro per evitare che il rialzo dell’aliquota IVA avvenisse già dal 2018.

Un ottimismo che fa comodo alle guasconate M5S e Lega

Evidentemente i capi e i capetti dei pentastellati e dei leghisti fondano il loro ottimismo, ripetiamo “facciamo la storia”, sulla base delle statistiche che Istat fornisce a getto continuo. Si dà anche il caso che  a distanza di pochi giorni ci siano versioni diverse. Per esempio lo stesso presidente dell’Istituto, Alleva, in audizione  parlamentare non è stato  molto ottimista, mentre pochi giorno dopo, come per una magia, torna l’ottimismo con la nota emessa sempre da Istat. Un ottimismo che fa comodo, lungi da noi il sospetto che ci sia un qualche rapporto con le guasconate da 120, 130 miliardi, che non ci sono, previste nel “contratto” sulla base del quale dovrebbe prendere forma il governo. “Previsioni ottimistiche – denuncia Federconsumatori con una dichiarazione rilasciata dal suo presidente, Emilio Viafora – che stentano a trovare riscontro nella situazione delle famiglie. Il nuovo Governo -prosegue- intervenga subito per costruire basi solide per una vera ripresa. Servono risposte alle carenze sul piano occupazionale che da troppo tempo affliggono il nostro Paese. La riduzione delle tasse sul lavoro e l’avvio di investimenti per la crescita e lo sviluppo sono i primi passi da compiere per raggiungere obiettivi concreti in questa direzione”.

La ripresa è rallentata. La precarietà del lavoro aumenta

Le stime Istat prevedono una crescita del Pil dell’1,4%, identica  a quella dello scorso anno, molto lontana dai livelli di crescita pre-crisi. Ma se diminuisce il commercio internazionale e si registrano aumenti nel costo del petrolio il Pil potrebbe crescere solo dell’1,2-1,3%. La disoccupazione cala al 10,9  a febbraio, lento calo per il 2018 al 10,8%. Singolare la formula trovata  per quanto riguarda l’occupazione. È previsto un aumento dello 0,8% “in termini di unità di lavoro”. Istat dimentica di specificare se si tratta di contratti a termine, lavori precari o a tempo indeterminato. Unità di lavoro infatti non vuol dire niente. La realtà è che la precarietà aumenta come lo stesso Istat ammette nel report presentato alla Commissione parlamentare. La quota di chi cerca lavoro, dice l’Istituto, “rimarrà comunque significativamente superiore a quella dell’area euro, attestata all’8,5%”. Crescita dimezzata della produttività del lavoro rispetto ai principali Paesi Ue. Per quanto riguarda la “attrattività” dell’Italia ci collochiamo al sedicesimo posto. Ancora: viene confermato che l’ascensore sociale è bloccato e che le disuguaglianze non accennano a diminuire, anzi crescono in termini reali. E non si può evitare di riconoscere che la ripresa è rallentata. Anche i segnali che vengono dalle Borse attestano una situazione di difficoltà. Lo spread, la differenza fra Bund tedeschi e titoli italiani, si è attestata al 176%, un numero che non dà sicurezza.

Davvero verrebbe da fare una grande risata ascoltando Di Maio e Salvini che parlano di “fare la storia”,  affermano che agli italiani “ci pensiamo noi”. In realtà non fanno neppure la cronaca. Creano solo danni per il nostro Paese che con loro non avrà certo un futuro.

Da jobsnews

 


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