Guido Rossi e l’etica del capitalismo

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Con la sua lucidità d’analisi, la sua preparazione globale e la sua ironia sottile e tagliente, tipica di quella borghesia illuminata di cui purtroppo sembra essersi perso il seme, il dottor Guido Rossi, che ci ha lasciato oggi all’età di ottantasei anni, era una figura assai rara nell’asfittico panorama del capitalismo italiano contemporaneo.
Memorabile, ad esempio, la sua disamina sull’attività di Palazzo Chigi ai tempi del governo D’Alema: “Un merchant bank dove non si parla inglese”, a dimostrazione degli errori, della deriva culturale e della mancanza di coerenza di una sinistra non certo da oggi in guerra con se stessa e con la propria tradizione storica. E notevole anche la sua azione ai tempi di Calciopoli, benché la scelta di assegnare all’Inter uno scudetto che sarebbe stato meglio non assegnare a nessuno fu, a mio giudizio, sbagliata e alquanto discutibile sotto tutti i punti di vista.
Qualche discrepanza di vedute, tuttavia, non può certo minare la stima, il rispetto e l’ammirazione per una personalità giuridica, politica e direi anche filosofica meritevole invece di un profondo apprezzamento, per la sua saggezza, la sua discrezione e la straordinaria competenza che ha dimostrato nei numerosi incarichi che gli sono stati affidati.
Una personalità milanese, di quella Milano che purtroppo non esiste più: discreta e a modo, sobria e senza fronzoli, capitale morale e fiera di esserlo, distante anni luce dal degrado complessivo che, nonostante qualche buona amministrazione, ne ha minato l’anima e l’identità.
Guido Rossi, un distinto signore di altri tempi, se ne è andato in punta di piedi. Lo accompagni il nostro riconoscente saluto e un abbraccio alla sua famiglia.


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