Turchia, quarto giorno di processo per giornalisti Cumhuriyet: paghiamo il nostro ‘no’ al bavaglio turco

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Mentre a Istanbul si sta celebrando il processo a 17 giornalisti di Cumhuriyet, accusati di legami con la presunta organizzazione terroristica Feto, la procura di Ankara ha emesso oggi altri 38 mandati d’arresto, contro ex dipendenti del ministero turco del Commercio epurati dopo il fallito golpe del 2016. Anche per loro l’accusa è di legami con la rete guidata da Fethullah Gulen, imam autoesiliatosi negli Stati Uniti e ritenuto ideatore del tentativo di colpo di stato in Turchia.
Secondo i magistrati sono tutti utilizzatori dell’app per smartphone ByLock, impiegata dai membri dell’organizzazione per scambiarsi informazioni criptate. Tre giorni prima eranno finiti in carcere 188 tra intellettuali, professionisti e avvocati prelevati nelle loro case o luoghi di lavoro nei quartieri di Uskudar e Umraniye. In totale, solo nelle ultime due settimane, le persone arrestate sono state 1.098.
Il capo di imputazionre è lo stesso da cui si stanno difendendo i colleghi di Cumhuriyet nel processo iniziato il 24 luglio. Hanno già testimoniato molti degli imputati, tra cui il direttore Murat Sabuncu, e l’amministratore delegato della testata, Akın Atalay.
Sabuncu ha esordito denunciando il trattamento subito in detenzione, dove è stato costretto all’isolamento. Ha rivendicato il suo essere ‘voce libera’ e rigettato tutte le imputazioni.
“Mi è pesato molto che la polizia entrasse in casa mia, nella mia stanza da letto. Di essere stato costretto a spogliarmi,  io un uomo di 47 anni, prima di essere chiuso nel carcere di Silivri solo per i titoli in prima pagina del mio giornale” è stato il suo sfogo rammaricandosi che questo era stato il prezzo da pagare per fare giornalismo indipendente in Turchia.
“E’ un caso montato non su prove, ma sul disperato tentativo di costruire una rete di supposte relazioni che hanno scavato nella vita personale non solo degli imputati, ma anche di parenti, amici, pronipoti e persino ex mogli di vent’anni prima” ha invece affermato Atalay che intervenendo davanti alla Corte ha evidenziato come dopo l’analisi delle sue conversazioni telefoniche degli ultimi 5 anni sia risultato solo un contatto con alcuni utilizzatori di Bylock, piattaforma di messaggistica utilizzata dai presunti golpisti, collegabili a Fetö.
“Tutto è costruito sulla casualità – ha affermato l’ad di Cumhuriyet – se si controllassero anche i tabulati del procuratore che mi accusa, alla luce di questo metodo assurdo, i suoi contatti potrebbero risultare assai più sospetti dei miei”.
Le dichiarazioni di Atalay non sorprendono visto che il caso contro Cumhuriyet era stato avviato da un giudice, Murat Inam, accusato lui stesso di legami con Gülen.
Tutti i difensori hanno puntato il dito contro l’impianto accusatorio, basato per lo più su articoli, editoriali e tweet dei giornalisti di Cumhuriyet.
E’ evidente che non si tratta di un processo ad azioni terroristiche ma al giornalismo.
Al quarto giorno di udienza il dibattimento appare sempre più come un evento che resterà nella storia della libertà di stampa in Turchia.
Come ha detto in aula un altro degli imputati, il reporter investigativo Ahmet Sik “trattare le attività giornalistiche come argomento di accusa è caratteristica comune dei regimi totalitari”.
Sik ha poi ricordato che quando tutti “riverivano Gulen e il suo movimento” lui era imprigionato per aver scritto un libro di inchiesta sull’infiltrazione della rete gulenista nella polizia.
Ora è in carcere e deve difendersi da accuse di terrorismo e di legami con chi, lui stesso, denunciava anni prima.
Insomma, è chiaro che l’intero impianto processuale sia basato su vere e proprie contraddizioni e prove inconsistenti.
Ma questo potrebbe non bastare a impedire che i 17 giornalisti dello storico quotidiano di opposizione siano condannati a pene dagli 8 ai 43 anni.
L’unica buona notizia, emersa proprio nel corso delle udienze di questi giorni, è che l’accusa è stata riformulata da “appartenenza a un’organizzazione terroristica” a “partecipazione esterna”. Scongiurando così la possibilità che possa essere emessa una sentenza di ergastolo. Sempre che il diritto, se non i diritti, venga rispettato.


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