Prima della bomba della strage di Capaci

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Piergiorgio Morosini* 

1. «Non c’è tempo da perdere, bisogna mettere da parte le guerre tra il Csm, l’Anm, il guardasigilli, i partiti. Cosa Nostra delinque senza soste, mentre noi litighiamo senza soste». A quattro giorni dalla strage di Capaci, Giovanni Falcone affida ad un giornalista partenopeo parole drammatiche e premonitrici. Lo fa a commento dei segnali di ferocia mafiosa che si andavano intensificando nella primavera del 1992. Segnali che in Sicilia si erano già materializzati negli omicidi eccellenti del parlamentare Salvo Lima e del maresciallo Guazzelli, dando l’avvio ad una stagione di attentati che rendeva ancor più convulsa la delicata transizione politico-istituzionale del nostro Paese.

È questo uno dei passaggi chiave dell’ultimo libro di Giovanni Bianconi, L’assedio. Troppi nemici per Giovanni Falcone (Einaudi, 2017). Un racconto incalzante sull’ultimo anno di vita del magistrato, frutto di una puntigliosa ricerca di fonti e della peculiare sensibilità della penna del Corriere della sera su crimine organizzato, trame eversive e proiezioni giudiziarie. Che, quindi, offre spunti di riflessione anche su pagine ancora oscure della “Prima Repubblica” e sul ruolo della mafia nel tempo della transizione, dopo la caduta del muro di Berlino e la fine della guerra fredda.

La tela narrativa viene imbastita su due scenari che, idealmente, finiscono per intrecciarsi. Quello dei covi mafiosi, con Riina e compagni alla ricerca di nuove alleanze per l’impunità e alle prese coi progetti di vendetta a cavallo della decisione della cassazione sul “maxi-uno”. Quello istituzionale del palazzo di via Arenula, sede del Ministero della giustizia, con il magistrato siciliano determinato a condurre in porto il progetto di una legislazione più efficace nel contrasto ai clan…. Da liberainformazione


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