Luigi Calabresi e  quei giorni perduti

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Non sapremo mai se e quanto il commissario Calabresi fosse coinvolto nella tragica morte di Giuseppe Pinelli, tre giorni dopo la strage di piazza Fontana. Non sapremo mai se il ferroviere anarchico sia caduto o sia stato buttato dal quarto piano della questura di via Fatebenefratelli a Milano e chi abbia dato l’ordine di compiere un interrogatorio tanto duro e conclusosi in maniera drammatica, con la morte di un povero cristo che, ovviamente, con la mattanza della Banca dell’Agricoltura non c’entrava nulla.
Ciò di cui siamo purtroppo certi è che il commissario Calabresi pagò, a sua volta, con la vita quel clima d’odio e di barbarie che caratterizzava l’Italia di allora, fra campagne stampa durissime nei suoi confronti e un clima di delegittimazione e di reciproco sospetto che provocò lo spargimento di parecchio sangue e fu il preludio ad una delle stagioni più strazianti della nostra storia.
Quarantacinque anni dalla morte del commissario Calabresi, assassinato sotto casa da un commando di Lotta Continua la mattina del 17 maggio 1972, lasciando una moglie e un figlio di due anni e inserendosi a pieno titolo fra le vittime di una guerra civile a bassa intensità che avrebbe tinto di color rosso sangue un intero decennio, prima di sfociare nell’indecente disimpegno, misto a cinismo e spregiudicatezza, del decennio successivo.
Quarantacinque anni e ancora una ridda di interrogativi rimasti senza risposta; quarantacinque anni e troppi punti oscuri su cui non è mai stata, e forse non sarà mai, fatta chiarezza; quarantacinque anni e un dolore sotterraneo, straziante e privo di prospettive che segna tuttora il nostro dibattito pubblico; quarantacinque anni e la vana ricerca delle parole giuste per spiegare una serie di delitti inspiegabili e difficili da comprendere per chiunque non abbia vissuto le atmosfere di quei giorni perduti, consegnati ad una sconfitta individuale e collettiva al tempo stesso.
Quarantacinque anni e una vicenda in cui si ha l’amara sensazione che molti dettagli non siano ancora stati raccontati. Anche da qui deriva la nostra sfiducia nelle istituzioni, anche da qui deriva la nostra profonda disillusione.

P.S. Mentre scrivevo quest’articolo, ho appreso la notizia della scomparsa di Daniele Piombi, gentiluomo e sostenitore di un’idea di televisione assai diversa rispetto a quella cui siamo abituati. A lui e all’indimenticabile Alberto La Volpe rivolgo il mio pensiero, la mia gratitudine e la mia riconoscenza, umana e professionale.


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