Direzione Pd. Il Renzi2 come il Renzi1: relazione-comizio, tutto già deciso, si ratifica il Berlinellum e lo si vota entro il 7 luglio. Poi elezioni anticipate. Orlandiani delusi si astengono

0 0

La prima Direzione nazionale della seconda era di Renzi segretario si è celebrata in perfetta continuità rispetto al passato. Relazione-comizio di Matteo Renzi che comunica decisioni già assunte altrove, senza neppure uno straccio di giustificazione politica, né di analisi convincente, sul tema all’ordine del giorno, la legge elettorale. Nella relazione-comizio c’ha infilato di tutto di più, con frasi ad effetto (strumentalizzando perfino le parole del papa sulla dignità del lavoro all’Ilva di Genova) senza mai toccare alcun passaggio con la profondità necessaria. Sostantivi e aggettivi evocativi, talvolta veri e propri trucchi retorici, il nascondimento della realtà delle condizioni del Paese, la drammatica realtà sociale ed economica, alla quale egli ha contribuito enormemente. E nella replica ne giustifica l’assenza proprio perché “da settimane non si discute altro che di legge elettorale” (come se il Pd renziano vivesse sulla Luna). Poi, la solita litania degli interventi, a favore e contrari, per legittimare una presenza nel gruppo dirigente, ma solo per confermare una costante gramsciana “guerra di posizione”. Insomma, nulla di nuovo sotto il sole del Pd renziano. Almeno nell’ambito della direzione di martedì 30 maggio, che ovviamente si è chiusa con l’approvazione a larga maggioranza della relazione di Renzi e con l’astensione della minoranza orlandiana. Un vero e proprio dejà vu.

Il Renzi 2 si presenta con l’accordo siglato con Berlusconi e Grillo e convince la direzione di far di necessità virtù

Il due volte segretario Renzi, dunque, si è presentato forte di un accordo già siglato sul sistema elettorale tedesco, da rendere coerente con le specificità italiane, con Silvio Berlusconi e Beppe Grillo. Ora, il modello elettorale tedesco è un proporzionale puro, anche se prevede una metà degli eletti in collegi uninominali e le liste bloccate nella parte proporzionale. Dunque, il Partito democratico si muove verso un cambio di paradigma politico, definito dal suo stesso statuto, ovvero la sua vocazione maggioritaria. Un cambio di paradigma motivato quasi esclusivamente da ragioni di necessità, più che politiche, come lo stesso Renzi ha ribadito, sia nella relazione iniziale che nelle sue conclusioni, richiamando il messaggio di Mattarella che consigliava una larga maggioranza per la nuova legge elettorale. In fondo, Renzi ha più o meno sostenuto che il modello tedesco sarebbe stata una minestra necessaria da ingoiare, piuttosto che un sistema accettato con convinzione. Occorreva sbarazzarsi del maggioritario per convenienza, ecco la verità, e Grillo e Berlusconi sono arrivati in soccorso (Berlusconi tra i tre era l’unico a volere un proporzionale puro, mentre com’è noto Renzi e Grillo brigavano per una sorta di Italicum modificato dalla sentenza della Corte, e con premio di maggioranza elevato). E come c’era da aspettarsi, a nulla è valso il richiamo a una pausa di riflessione lanciato da 31 senatori di area orlandiana, i quali in una nota stampa avevano scritto: “sosteniamo con determinazione la necessità che il PD tenga fermo il principio dell’equilibrio tra governabilità e rappresentanza quale requisito non contrattabile nel doveroso confronto parlamentare con tutti i partiti e movimenti, scongiurando ogni ipotesi proporzionalistica”, Non potevano essere più chiari di così. Ma ormai la decisione sul Berlinellum era stata presa, e la direzione l’ha solo ratificata, mentre lo stesso Andrea Orlando perfino dopo le conclusioni di Renzi ha compiuto uno sforzo immane per proporre di riportare il dibattito all’interno dei gruppi parlamentari, con un ordine del giorno. “Questo sistema non è il tedesco”, aveva tuonato Andrea Orlando, “è un proporzionale con sbarramento al 5 per cento. Se Matteo dice che dobbiamo pensare ai nostri figli, dobbiamo anche chiederci se questo sistema garantirà stabilità. Io non credo che garantisca stabilità”. E già prefigurando il patto del Nazareno a Palazzo Chigi, Orlando ha concluso: “sei sicuro che in una filiera Macron-Merkel un nuovo governo di larghe intese sarà in grado di condizionare l’asse che si è venuto a formare tra Germania e Francia in questo momento?”. Evidentemente sì, perché a quel punto, il capolavoro tattico di Renzi era sostanzialmente compiuto: un modello proporzionale che porta dritto all’accordo stabile di governo con Berlusconi, e una soglia di sbarramento del 5% (non sappiamo ancora quanto sia costituzionale in Italia) nel tentativo di agevolare la propaganda elettorale del voto utile, massacrando le formazioni a sinistra del Pd. E Renzi ha informato la direzione di aver concordato con Berlusconi e Grillo anche la data entro la quale approvare la legge, il 7 luglio, così che si possano sciogliere le Camere e votare entro ottobre.

Per Renzi, le elezioni anticipate non sono inevitabili, ma se proprio occorre il Pd non si tira indietro. Perciò, “Paolo stai sereno”

Eppure, nella relazione iniziale, Renzi aveva affermato che “il Pd non ha fretta di votare, non siamo impazienti”, la discussione sulla data del voto “non si fa nella direzione del partito ma nelle sedi competenti, ma deve essere chiaro che le elezioni non sono una minaccia”. Ma se è così, come mai viene indicata una data così ravvicinata per la discussione sulla legge elettorale, che si annuncia comunque complicatissima proprio per la guerra di posizione che ne è nata? Non ancora soddisfatto, però, Renzi  ha voluto ripetere che “dire che il passaggio elettorale costituisce una minaccia è una tesi suggestiva che non mi sentirei di proporre ai millennials…”. Era la replica alle parole di Alfano, e dei frondisti del Pd molto preoccupati per la tenuta economica del Paese. Tuttavia, Renzi ha chiuso così la questione: “si deve prendere atto che sulla legge elettorale c’è una convergenza di FI, M5S, partito della sinistra radicale fino alla Lega per avere un sistema mutuato dall’esperienza tedesca. Lo sbarramento del 5% è elemento inamovibile del sistema tedesco, e la scheda deve avere i nomi, questi due cardini devono essere mantenuti. Questa non è la mia legge elettorale ma abbiamo scelto la strada della responsabilità”. Quanto a Paolo Gentiloni, si è rivolto a lui con lo stesso spirito col quale licenziò Enrico Letta col famoso tweet “Enrico stai sereno”. Ecco il tweet a voce di Renzi verso Gentiloni: “il Pd continuerà a sostenere il governo con determinazione, noi continuiamo a lavorare in questa direzione, perché – come ha detto Paolo Gentiloni – finché il governo è nella pienezza dei suoi poteri si continua a lavorare”. Insomma, la traduzione della seconda parte della frase, “finché il governo è nella pienezza dei suoi poteri”, assomiglia molto a “Enrico stai sereno”.

La data del voto è però condizionata dai tempi tecnici della legge di stabilità. Noi non stiamo sereni

In ogni caso, è prassi consolidata che se una larga maggioranza dei parlamentari cambia la legge elettorale e chiede il voto anticipato, il presidente della Repubblica difficilmente potrebbe contrastarne la decisione. Ed è ciò che accadrà, nonostante le condizioni drammatiche in cui versa l’Italia. Quel che è certo è che si ragiona con il pallottoliere sui tempi tecnici della nascita di un nuovo esecutivo in relazione alla scadenza del 31 dicembre per l’approvazione della legge di stabilità. Il tutto mentre ancora deve essere approvata la manovrina di inizio estate, sulla quale l’Unione europea non farebbe sconti. E alle porte ci sono le elezioni amministrative dell’11 giugno che porteranno al voto 15 milioni di italiani. Oggi sembra quindi in difficoltà l’idea di un unico decreto salva-Iva per non far scattare la clausola di salvaguardia che porterebbe ad un aumento di tre punti della tassa. Ma servono circa 15 miliardi e il Tesoro in questa situazione pre-elettorale non sembra proprio disposto a metterci la faccia. Restano quindi in campo le più svariate ipotesi ma certamente si rafforza la schiera di quanti vogliono chiudere presto la partita del voto per far elaborare e approvare l’intervento da un nuovo esecutivo fresco di investitura popolare. Ela speculazione resta in agguato: solo il parlare di voto anticipato ha scatenato l’appetito dei mercati costringendo oggi il premier Paolo Gentiloni a ribadire che l’esecutivo è “nella pienezza dei poteri”, mentre il Colle attende i fatti.

Pino Salerno

Da jobsnews


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21