Il mondo di Trump è un incubo pericoloso

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Che mondo è, dunque, quello in cui da qualche mese regna sovrano Donald Trump, nuovo e inadeguato padrone dei destini dell’umanità? Siamo senz’altro al cospetto di un globo più ingiusto e diseguale, in cui le pulsioni di estrema destra, che da sempre covano sotto la cenere delle oligarchie e delle multinazionali, desiderose di spartirsi la torta di una globalizzazione mai così iniqua e, proprio per questo, per quanto riguarda i padroni del vapore, mai così lucrosa ed allettante, stanno producendo una destabilizzazione complessiva che nemmeno gli osservatori più pessimisti avrebbero potuto prevedere (basti pensare, a tal proposito, alla recente vittoria del BJP, il partito ultra-nazionalista del presidente Narendra Modi, nell’Uttar Pradesh, lo stato più popoloso dell’India).
È un mondo perduto: sarà pure un’analisi amara ma va compiuta. Un mondo in cui l’Europa conta sempre meno, al punto che, dopo averlo osteggiato e criticato per mesi, si è vista costretta ad applaudire, con tanto di genuflessione, una manovra spregiudicata e consumata più per ragioni interne che per effettivi interessi internazionali come la scelta di Trump di lanciare cinquantanove missili Tomahawk contro una base area siriana. Ma perché lo ha fatto? Per ribadire la propria volontà di potenza e marcare il territorio dopo gli otto anni di buonsenso e di renitenza all’uso delle armi del suo predecessore? Per lanciare un avvertimento a Xi Jinping, presidente cinese ospitato nei giorni scorsi nella residenza personale del magnate miliardario a Mar-a-Lago in Florida? Per fugare da sé e dalla propria amministrazione le ombre, tra cui una possibile procedura di impeachment, legate ai presunti aiuti ricevuti in campagna elettorale da Putin? Di sicuro, queste ragioni sono tutte valide e rendono ancora più ridicolo il pedissequo accodarsi di un’Europa priva di identità e di un pensiero autonomo all’altezza, il che rende ancora più palese l’inettitudine di una classe dirigente che si è riunita lo scorso 25 marzo a Roma per celebrare un’Unione Europea nella quale non crede o, quanto meno, non abbastanza, oltre a non averne compreso lo spirito e le finalità.
Ciò che dovrebbe preoccuparci, al termine di una settimana nella quale abbiamo assistito alla bushizzazione di Trump, alla devastazione del Sudamerica e all’attentato che ha sconvolto Stoccolma, è che non siamo minimamente preparati ad affrontare questa stagione storica, prigionieri come siamo delle nostre divisioni, del nostro ego ipertrofico e della nostra incapacità di fare fronte comune al cospetto di una serie di avversari globali il cui obiettivo è quello di annientarci.
L’ISIS, senza dubbio, è il nemico numero uno ma guai ad illudersi che il riacutizzarsi delle tensioni mediorientali, con lo scontro latente fra Israele e il Libano e la richiesta di Netanyahu deporre all’istante Assad non tanto perché è un macellaio quanto perché è sostenuto, fra gli altri, da Hezbollah, non influisca sul nostro futuro quanto e più dell’antimondializzazione medievale dei tagliagole del Califfato perché non è così.
E guai a non vedere ciò che sta accadendo in Africa, dove il caos libico, l’amministrazione feroce di al-Sisi in Egitto (protagonista oggi dell’attentato contro due chiese copte) e lo strapotere di Boko Haram nella fascia centrale del continente costituiscono altrettante fonti di insicurezza per le società europee, a cominciare dal dramma di un’immigrazione fuori controllo, dunque problematica e foriera di innumerevoli disastri, a cominciare dall’avanzata delle cosiddette forze “sovraniste” e anti-sistema.
Senza dimenticare che dietro al tracollo delle economie, e di conseguenza degli assetti socio-politici, dei vari paesi sudamericani che stanno collassando in questi mesi, il Venezuela in primis, c’è la mutazione di prospettiva dell’impero cinese, visto che la rivoluzione liberista portata avanti da Xi Jinping, con il plauso di tutti gli industriali e i figli del boom economico degli ultimi vent’anni, ha modificato radicalmente le prospettive di una Cina che adesso non punta più sulla produzione a basso costo di prodotti di ampio consumo, realizzati per lo più con materie prime provenienti dall’universo latinoamericano, bensì sull’affermarsi di una società dei servizi caratterizzata dai consumi interni, seguendo la rotta che l’Italia affrontò con successo nei primi decenni del dopoguerra, in una fase storica che giustamente rivendichiamo come la massima frontiera del benessere e degli avanzamenti sociali del nostro Paese. Da qui il fallimento di vari governi e la rischiosa tentazione di una parte del mondo conservatore americano di indurre Trump a tornare a trattare i cugini del Sud come il proprio cortile di casa, rinverdendo la barbarie dei regimi militari degli anni Settanta, forieri di vere e proprie stragi ai danni di chiunque osasse opporsi al fascismo dilagante.
Infine la Corea del Nord, convinta che l’azione di Trump in Siria giustifichi il lancio dell’atomica, con la conseguenza che “The Donald” ha preso ad agitare lo spettro di una guerra contro Pyongyang, mettendo a dura prova la fine diplomazia cinese, la quale sta cercando di ricordare all’improvvisato inquilino della Casa Bianca che anche quel pazzo di Kim Jong-un possiede l’arma nucleare e che non è proprio il caso di solleticarne gli istinti ferini e le smanie guerrafondaie, onde evitare di innescare un conflitto mondiale dal quale l’umanità nel suo insieme non avrebbe scampo.
Questo è, dunque, il mondo di Donald Trump: un incubo pericoloso, una distopia orwelliana, un contesto tragico in cui Dio solo sa quanto avremmo bisogno di un’Europa forte, coesa, autorevole e capace di porsi come baricentro d’equilibrio, nonché come messaggera di pace e di speranza, per scongiurare la catastrofe cui rischiamo di andare incontro.


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