Giornalismo sotto attacco in Italia

L’informazione si è dimenticata di Baghdad

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Finire dilaniati da una bomba, che arrivi da un missile o trasportata da un kamikaze non fa differenza,  non è mai una dolce morte: schegge, sangue, “tracce” di corpi ovunque. Però c’è invece qualcosa che cambia fra esplosione e esplosione: ci sono vittime di cui si parla e ce ne sono altre che “si dissolvono” una seconda volta dalla coscienza, anche dalla più distratta, del mondo, perché di loro non si occupa proprio nessuno. Prendete i morti di Baghdad, quelli di oggi che si sommano a quelli delle ultime settimane http://www.aljazeera.com/news/2017/01/car-bomb-kills-dozen-eastern-baghdad-170108064631613.html.
Nei mesi scorsi i riflettori delle tv occidentali erano tornati in Iraq per “coprire” la battaglia di Mosul, l’attacco dell’esercito regolare iracheno a una delle capitali dell’Isis. Pareva potesse essere una “passeggiata” militare,da descrivere coi toni della rapida avanzata liberatrice,  poi però le cose hanno cominciato a non rispettare i tempi della comunicazione, a andare per le lunghe, e gli inviati si sono trasferiti in altri paesi che “fanno più notizia”. Così è successo questo: che mentre fra le case di Mosul si è continuato a combattere, gli estremisti sunniti, più o meno legati a Isis, hanno dato vita a una controffensiva, hanno riaperto il fronte di Baghdad con il loro solito repertorio di micidiali attentati suicidi. Risultato: decine e decine di morti nei quartieri sciiti e un’ulteriore mazzata alla credibilità già scarsa del governo in carica.
Ce ne sarebbero di storie da “raccontare”, come quella degli operai (chiamati a giornata come in alcune nostre piazze del Sud)  massacrati su un camion che li doveva portare al lavoro. Ma non le riporta nessuno queste storie perché di giornalisti occidentali lì a Baghdad non se ne vedono molti. C’erano quando, al tempo di Saddam e subito dopo,  stavano arrivando gli americani. Poi però, prima Bush e poi Obama, hanno detto che la guerra era finita. E poi c’è il pubblico che si stanca quando una vicenda bellica non è più “pompata” dagli alti comandi, non ha più in patria una risonanza politica. Eppure è in Iraq  che tutto è iniziato nel 2003 come ricorda lo straordinario reportage di Anderson Pellegrin, Terre Spezzate, un viaggio nell’Apocalisse che sta sconvolgendo il mondo arabo http://www.repubblica.it/esteri/2016/08/18/news/terre_spezzate-146064379/.
E così andiamo avanti senza strumenti per capire cosa sta accadendo nel luogo dove questo scontro micidiale fra sunniti e sciiti, propiziato dall’invasione voluta da Bush e Blair, è cominciato. Scontro che poi si è esteso alla Siria, alla Turchia,lo Yemen,  arrivando da noi in Europa. L’informazione non supportata da un un ragionamento originale è acefala, vive di “narrazioni” di inviati che ci fanno vedere dove sono arrivati, ma non riferiscono le storie più importanti. Perché se mai finirà questa guerra, sarà proprio in Iraq, è li il luogo della “resa dei conti”. Fra chi fa informazione qualcuno dovrebbe pensarci. Non solo all’estero, anche in Italia.
*Articolo21 – Veneto

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