Referendum. Renzi fissa una data, compresa tra il 15 novembre e il 5 dicembre. Annuncia la Leopolda e con la Boschi sceglie il nemico numero uno, Massimo D’Alema

0 0

Di Pino Salerno

La notizia del giorno l’ha data lo stesso premier: “Entro il 25 settembre fissiamo la data del referendum che sarà tra i 50 e i 70 giorni successivi. A naso, dovrebbe essere tra il 15 novembre e il 5 dicembre”. Renzi ha atteso la puntata di Porta a Porta per dire agli italiani che voteranno per il referendum confermativo della riforma costituzionale in una domenica autunnale compresa tra le quattro che vanno dal 15 novembre al 5 dicembre. Insomma, passeremo da sant’Alberto Magno, santo del 15 novembre, per far felice Bersani, a santa Cecilia (santa del 22 novembre) per la felicità di tutti i musicisti e gli amanti della musica, oppure a san Saturnino, che come tutti sanno, venne decapitato nel 304 con Sisinio sulla via Nomentana a Roma. O meglio ancora si passerà da san Saba Archimandrita, notissimo per la virtù della pazienza, venerato il 5 dicembre. Naturalmente, si scherza, ma non abbiamo ancora dal premier la data precisa, vista l’elasticità con cui l’ha annunciata. La scelta avverrà su ben quattro domeniche autunnali, e non sarà indifferente sull’andamento della campagna elettorale. Ad esempio, sarà difficile, in tantissime zone, fare comizi o iniziative all’aperto. E si sa che quelle al chiuso possono costare anche parecchio. Sarà difficile, in molte zone, organizzare un volantinaggio, oppure una campagna elettorale porta a porta. Insomma, il timore è che più avanti si spinge la data, più conterà la campagna televisiva, unica o principale fonte d’informazione per molti milioni di italiani. Si partirebbe, oggettivamente, in condizioni fortissime disparità, dal momento che il controllo di Palazzo Chigi sui media del servizio pubblico e su alcune importanti testate giornalistiche non è certo un mistero. Anzi, proprio sull’Unità, il guru della comunicazione renziana, Francesco Nicodemo, ne ha fatto addirittura un vanto “filosofico”, parlando di narrazioni “sul modello fiabesco”. Inoltre, in televisione, anche e soprattutto per effetto dei tempi veloci imposti dal mezzo, sarà molto difficile scendere nei particolari, orrendi e pessimi, della “deforma” costituzionale voluta dal tandem Renzi-Boschi. Ad esempio, sarà complicato spiegare l’articolo 70 nella nuova formulazione, che pure affronta un tema delicato e complesso quale quello del nuovo procedimento legislativo. Oppure, la caterva di casi previsti dall’articolo 117 che regola il rapporto tra Stato e Regioni, ridefinendo le nuove competenze. Temiamo insomma che sarà gioco facile trasformare un confronto televisivo, o radiofonico, nel merito della riforma costituzionale in un confronto politico, che risulterà, alla fine, decisamente personalizzato. Stringi stringi, la campagna mediatica si trasformerà in un “con me o contro di me”, laddove il “me” resta naturalmente il premier, col corollario di slogan già abusati in ogni occasione pubblica.

Le prove di questo inevitabile scadimento del dibattito pubblico sulla riforma costituzionale, sono proprio nelle parole che prima la ministra Boschi ha consegnato al quotidiano La Stampa del 6 settembre, e poi nelle risposte dello stesso Renzi a Bruno Vespa nel corso di Porta a Porta. Cominciamo dalla Boschi e dalla verità sulla posta in gioco: “Personalizzazione del referendum? Noi abbiamo accolto il suggerimento e l’invito a non farlo. Credo che l’invito a non personalizzare possa valere per tutti. Poi penso anche che chi fa politica debba anche sapere che non si fa politica per tutta la vita. E le nuove generazioni devono anche abituarsi all’idea che si può lasciare la politica, se necessario. Però direi che questo è un problema che ci porremo dopo aver vinto il referendum”, ha aggiunto Boschi. Molto interessante il collegamento che la Boschi fa, ma forse qui ci vorrebbe un’interpretazione psicanalitica, tra la personalizzazione e l’uscita dalla politica, due cose diverse come la fave e i ceci. Esci dalla politica, e vi sei costretto, solo se in una singola battaglia ti giochi il destino, e l’assumi come una sorta di giudizio divino. Ma se così non è, se davvero il referendum è una delle possibili battaglie politiche, cosa diavolo c’entra con l’uscita dalla politica? Ancora, sulle alleanze sociali la Boschi è stata chiara: “Sicuramente pezzi importanti della società, della cultura e anche dell’economia, stanno sostenendo il sì. Dalla Confindustria, Coldiretti, Confcooperative o Confartigianato. Non perché parteggino per un partito o un altro o per simpatia verso il governo, ma perché hanno a cuore il futuro dell’Italia. Ma sopratutto ci sono tremila comitati spontanei nati ovunque in Italia. Uomini e donne appassionati che vogliono davvero dare una mano a cambiare il Paese e magari correggere le storture del Titolo V voluto dalla riforma costituzionale firmata da D’Alema”, conclude Boschi. Ora, come spesso si dice, la domanda sorge spontanea: se chi sostiene il si al referendum ha “a cuore il futuro dell’Italia” (espressione infelicissima) i sostenitori del no dove ce l’hanno “il futuro dell’Italia”? Una risposta potrebbe essere quella illuminista: ce l’hanno nella ragione, nella mente, nel cervello (ma noi siamo di parte), oppure quella triviale, che lasciamo volentieri al lettore immaginare. Siamo sempre e comunque sulla scia propagandistica dei “buoni” e dei “cattivi”, del “con me”, o “contro di me”. Una volta si sarebbe giudicata la ministra Boschi una seguace del manicheismo. Prepariamoci al peggio televisivo. Naturalmente, va sottolineato l’attacco a Massimo D’Alema: due parole per dire che la riforma firmata da lui era pessima, quella della Boschi “ha a cuore il futuro dell’Italia”. Perché D’Alema? Perché l’ex segretario del Pds (oggetto di una vignetta di Staino molto opinabile sull’Unità: un D’Alema col fucile puntato su Renzi e con alle spalle i trofei di Occhetto, Veltroni, Prodi) ha deciso di rompere gli indugi e di dare vita e struttura al Comitato del Centrosinistra per il No, presieduto da quell’insigne e raffinato giurista, nonché galantuomo, che si chiama Guido Calvi. Bene, sulla stessa scia ideologica si è mosso anche Matteo Renzi nella puntata di Porta a Porta. L’attacco a D’Alema, in questo caso, non è stato diretto, ma subdolo, molto subdolo, e francamente indecente se proviene dal capo del governo. Insomma, si parlava di risanamento delle banche e Renzi ha sparato contro la sinistra, in particolare sul caso Montepaschi di Siena, e D’Alema con questa frase: “Io non sono di quelli che pensano che sia un bene comprare banche, neanche in Puglia”. È un modo di parlare indiretto, che lascia trapelare cose, interpretazioni, subdoli sospetti. Se Renzi sa qualcosa, lo dica in modo esplicito, e se si tratta di questioni illecite sa dove recarsi, in Procura, come farebbe un sobrio capo del governo. Attaccare subdolamente D’Alema per la sua scelta nel referendum, va oltre la rottamazione, è un dato di meschinità. Che parla dell’uomo Renzi, piuttosto che dello statista. Vorremmo infine sommessamente ricordare che quando, nel 2000, D’Alema s’impegnò personalmente nelle elezioni regionali, che il Pds perse (per la felicità dell’allora direttore di Retequattro, Emilio Fede, che ebbe la possibilità di giocare con le bandierine rosse e blu), ebbe il coraggio di dimettersi da presidente del Consiglio. Ecco perché D’Alema ha ragione quando presenta il disegno renziano in questo modo: “ha cercato il plebiscito al referendum per poi andare al voto, ma poi ha fatto marcia indietro”, e ne attacca la sostanziale deriva autoritaria e, a suo modo, populista. In ogni caso, gli attacchi di Boschi e Renzi a D’Alema sono la sostanziale conferma della personalizzazione della lotta politica che assumerà corpo in campagna elettorale. Come direbbe un illustre pensatore del Novecento, i due stanno costruendo il nemico, per poterlo utilizzare a piacimento come arma di propaganda. Non è un caso, infine, che Renzi, sempre nella stessa trasmissione, e sempre senza contraddittorio, si sia spinto a ritenere che la presenza di D’Alema porterà voti al si. L’illustre pensatore del Novecento era Carl Schmitt, la cui lettura consigliamo vivamente al nostro presidente del Consiglio.

Da jobsnews


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21