Omran come Aylan, l’indignazione ipocrita che scuote il mondo ma che nulla cambia

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Il visino sporco di sangue, una ferita tra l’occhio sinistro e la tempia. Sguardo perso e spaventato, polvere su tutto il corpo. L’immagine del piccolo Omran Daqneesh, 5 anni, rimasto intrappolato sotto le macerie dopo un bombardamento ad Aleppo e salvato dalle squadre di soccorso, sta facendo il giro del web divenendo un fenomeno virale che indigna e fa gridare agli orrori della guerra.

La foto di Omran come quella del piccolo Aylan Curdi, il bimbo di tre anni ritrovato senza vita su una spiaggia turca. Un’immagine che scuote ipocritamente il mondo ma poi nulla cambia.

Lo scatto che ritrae il bimbo siriano è tratto da un video diffuso dal network locale ‘Aleppo Media Center’ e in poche ore è stato visto, scaricato, commentato  da decine di migliaia di persone in tutto il pianeta diventando simbolo dei massacri e della guerra in Siria.
Il filmato integrale  ha raggiunto quasi le  100mila visualizzazioni: mostra uno dei membri della protezione civile che esce da ciò che è rimasto di un palazzo bombardato nel quartiere di Al Qatergui, con Omran in braccio. Poi, nel fermo immagine, si vede il piccolo seduto sul sedile arancione di un’ambulanza dopo essere stato salvato.

Questa foto racconta meglio di tante parole il conflitto siriano: una vittima inerme, sopravvissuta a un raid aereo, estratta viva dalle macerie di un obiettivo ‘non militare’, che come altri era stato colpito indiscriminatamente ad Aleppo, la città più martoriata dagli attacchi della coalizione internazionale anti Isis che ha anche un altro fine: annientare i gruppi armati xhe si contrappongono a Bashar al Assad.
Omran è solo uno delle centinaia di bambini feriti negli attacchi delle ultime settimane dell’aviazione russa che proseguono per 21 ore al giorno. A poco sono valse le tre ore di tregua annunciate da Mosca per consentire ai corridoi e agli aiuti umanitari di dare sollievo alla popolazione civile e garantire una via di fuga per chi volesse lasciare la città.
Oggi, dopo quello di Unicef e di Papa Francesco, e’ arrivato l’appello di Ban Ki-moon per il cessate-il-fuoco di almeno 48 ore che ha anche annunciato la sospensione della task force Onu impegnata nelle operazioni di soccorso.

Un intervento tardivo, dopo settimane di tregue non rispettate, annunci ma soprattutto tanti, troppi innocenti uccisi dai raid.

Per l’organizzazione delle Nazioni Unite almeno 130mila bambini vivono ancora ad Aleppo, emblema di quella che il segretario generale dell’Onu ha definito una possibile catastrofe umanitaria. Ma forse Ban non si è ben reso conto della situazione, visto che lo è già nei fatti. E non certo da oggi.
Come esorta Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia, la parola deve passare all’opinione pubblica, che non può restare silente. E’ necessaria una posizione forte della gente comune. Come per il Vietnam.

Non è possibile continuare a restare indifferenti di fronte all’ennesima città distrutta da interessi geopolitici ed egoismi di pochi, seppur potenti, Paesi.
Per questo rilanciamo l’appello di Unicef a mobilitarsi in tutte le piazze del mondo e chiedere seriamente e a gran forza ai governi di dire basta alle bombe che da 5 anni devastano la Siria.

Questa volta non si può permettere che dopo l’indignazione per una vita spezzata, per l’immagine di un bimbo abusato nel corpo e nella psiche, occhi vitrei, sporco di sangue e di polvere, non segua una reazione concreta. Forte. Serve un impegno comune per fermare gli orrori di un conflitto di cui tutti dobbiamo sentirci responsabili. Ora. Subito. Prima che sia troppo tardi.


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