Olimpiadi, la carcassa di una finzione

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Non sto seguendo con partecipazione le Olimpiadi.  Non ci sto con la testa. C’è troppa guerra in giro per il mondo. Troppo terrorismo. Troppi migranti senza riposo. Anche le altre olimpiadi si sono svolte con conflitti in corso, ma mi fa pensare che siano state interrotte solo durante il conflitto mondiale.

Ecco, credo che ci sia un conflitto mondiale in corso, non convenzionale, ma talmente diffuso da non lasciare lo spazio mentale alla gioia della eterna lotta della specie umana contro i propri limiti.
Perché questo è il vero senso delle Olimpiadi: identificarci nell’atleta sotto sforzo per celebrare la nostra umana bio-unità  nella sfida alla velocità,  resistenza, armonia dei movimenti. Non si può esaltare il mito del nostro corpo in Brasile  e altrove lacerarlo con una bomba in un mercato, lasciarlo gonfiare d’acqua salata nel Mediterraneo o vederlo consumarsi di stenti in migrazioni senza mai un arrivo.
Gli antichi proclamavano la tregua olimpica durante i giochi.
Una pausa che non cancellava i conflitti, ma che almeno ogni quattro anni riconsacrava il corpo umano, per ripulirlo dagli oltraggi della violenza.
Dovremmo fermarci a pensare se valga la pena continuare a programmare olimpiadi, nella globalizzazione della guerra a bassa intensità. Magari saltando un turno ammettendo che c’è un conflitto mondiale, per recuperare il loro profondo valore.
Senza il quale, rimane solo la carcassa di una finzione.

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