Papa Francesco. L’Amoris Laetitia è un vero cambio di paradigma, radicato nel Vangelo. Cambierà la Chiesa?

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Di Pino bSalerno

Era molto attesa l’esortazione apostolica di papa Francesco, Amoris Laetitia. Con questo testo si porta a termine un lungo lavoro di riflessioni e di confronti che ha avuto inizio, in tutta la Chiesa, nel febbraio del 2014, stimolato dalla necessità di dare soluzione al dibattito aperto fin dal luglio del 1968 con la pubblicazione dell’Enciclica di Paolo VI Humane Vitae. Dal 1968, il dibattito sulla coppia, sulla famiglia, sul controllo delle nascite, sulla sessualità e su tutti i temi legati all’educazione dei figli, non ha mai smesso di suscitare polemiche, controversie, posizioni contrapposte, dentro il mondo ecclesiastico, e al suo esterno. L’esortazione apostolica Amoris Laetitia, insomma, aveva la missione di risolvere il conflitto tra dottrina morale e atteggiamento pastorale che su questi temi aveva diviso papi, cardinali, vescovi, sacerdoti e fedeli. E oggi papa Francesco invita a costruire un ponte tra la rigidità schematica della dottrina e la necessità della pastorale misericordiosa (Misericordes sicut Pater, Misericordiosi come il Padre è non a caso l’inno del Giubileo). Un ponte che non può essere vissuto o interpretato con i paradigmi della razionalità laica tipici del compromesso politico o giuridico, o della “conciliazione” degli opposti, ma come qualcosa d’altro, di più complesso e profondo. È per questo che l’esortazione ha inizio con le due parole che, come da tradizione, diventano il titolo stesso: Amoris Laetitia, la gioia dell’amore, ma anche l’allegria dell’amore, oppure, parafrasando papa Francesco, la leggera tenerezza dell’amore. Così, questo straordinario papa sposta l’asse paradigmatico della riflessione dalla morale all’amore, e usa esplicitamente tre verbi per fornire un indirizzo pastorale: accompagnare, discernere, integrare. Era l’aporia irrisolta di cui aveva già parlato papa Giovanni Paolo II nella esortazione del 22 novembre 1981, Familiaris Consortio, al Sinodo sulla famiglia, quando sollevò l’enorme questione della contraddizione obiettiva in cui certi fedeli erano costretti a trovarsi per essere divorziati, e dunque non ammessi al sacramento centrale dell’Eucarestia. La regola del “divieto di accesso” al sacramento per tanti fedeli è perciò apparsa molto dura da osservare, così come molto dura è sembrata a tanti giovani la regola del “divieto della contraccezione artificiale”. Incomprensibile, secondo i canoni della modernità, ma ragionevole secondo i canoni della dottrina vaticana.

L’esortazione Amoris Laetitia è un lungo testo di 260 pagine, che ha questo incipit: “la gioia dell’amore che si vive nelle famiglie è anche il giubilo della Chiesa”, e fin dalle prime parole l’intento programmatico è di analizzare la “crisi della famiglia” nel mondo contemporaneo cercando di offrire una soluzione basata sul Vangelo, perché anche in questa esortazione la bussola è la Parola evangelica. Né più né meno. Si potrebbe dire che è normale per un papa fare riferimento alla Parola, eppure ogni volta che si rende pubblico un suo intervento, una sua enciclica, o una esortazione, ecco che le necessità della divulgazione mediatica hanno il sopravvento sulla riflessione teologica, durissima e complessa. L’Amoris laetitia non sfugge certo a questa dinamica. Intanto, è lo stesso papa Francesco che dedica il capitolo di apertura “Alla luce della Parola”, ricordando come la Bibbia sia “popolata da famiglie, da storie d’amore e di crisi familiari”. En passant, notiamo qui, che insieme con la giusta ricerca biblica, il papa un testo di Borges, e non è una sorpresa, “ogni casa è un candelabro”. È la casa l’elemento simbolico e materiale che unisce la riflessione teologico-biblica alla cultura laica. Quella casa che, secondo le parole di Gesù, si può costruire sulla sabbia oppure sulla roccia, altri due elementi fortemente simbolici e molto ricorrenti. Ed anche la Chiesa, ricorda il papa, si riunisce in una “casa”, per celebrare la sua unità intorno all’Eucarestia. La famiglia che si riunisce nella casa, in virtù dell’amore e del dono che ha condotto i coniugi a rendere sacra la loro unione nel matrimonio, è dunque, ribadisce il papa, indissolubile. Non poteva certo dire qualcosa di diverso. Tuttavia, il papa ricorda spesso nella esortazione che nella stessa Bibbia la famiglia viene descritta anche come il luogo del dolore e del lutto, dell’odio tra fratelli (a partire dall’episodio di Caino e Abele, e da Giobbe), e di tante sofferenze tra i coniugi. E come accade dalla notte dei tempi, scrive il papa, la casa è il luogo in cui in famiglia ci si ama, oppure in cui ci si odia. Il papa, a questo punto, introduce anche il tema del lavoro, come dignità dell’uomo e forza di coesione dei membri della casa e della famiglia. Senza un lavoro, che rende la vita degna, anche la famiglia si frantuma, si scioglie, si nega. Lo dice apertamente: “disoccupazione e precarietà diventano sofferenza”. Il papa trova e riproduce episodi evangelici a sostegno della sua tesi, e denuncia con forza come uno degli assi portanti della crisi della famiglia contemporanea risieda proprio nel fenomeno della disoccupazione di massa. Perché questo passaggio non è stato colto dai media di larga diffusione? Perché è semplicemente una critica del capitalismo, ed è meglio parlare della comunione ai divorziati piuttosto che delle cause della crisi delle unioni matrimoniali. E poiché “il bene della famiglia è decisivo per il futuro del mondo e della Chiesa” (p. 23) il papa esorta gli stati, i leader delle nazioni, gli industriali, i ricchi della Terra a dare soluzione alla crisi del lavoro, che contraddice il futuro stesso dell’umanità. Senza il lavoro, privato della dignità, il marito disoccupato o la moglie disoccupata perde perfino il senso del suo ruolo di primo educatore nei confronti dei figli, e funge da modello negativo, dell’intera società. Senza questo decisivo passaggio, che lega la crisi della famiglia alla sua ragione più profonda, la crisi del lavoro nelle società occidentali, non si capisce il capitolo 8 dedicato interamente alle cosiddette “famiglie irregolari”, sulle quali invece hanno puntato le luci i media a larga diffusione. Ma il papa insiste a dettare il comportamento in famiglia con alcune “parole d’ordine”: tenerezza, speranza, perdono, fiducia, allegria, generosità, amabilità, umiltà, carità coniugale, tra le altre che formano l’intero lunghissimo capitolo quarto (pp. 71-125). Dunque, più della metà dell’esortazione è dedicata ai fondamenti biblici, evangelici e teologici della famiglia, considerata in tutte le sue forme, contraddittorie e aporetiche.

Sulle famiglie irregolari, quelle che si formano proprio per effetto della crisi diffusa della famiglia tradizionale, il papa conferma il divieto dell’Eucaristia ai divorziati che vivano “more uxorio”. E fin qui nulla di nuovo, ma colpisce il tono con cui è scritto l’intero capitolo 8, nessun giudizio universale, nessuna condanna definitiva alla Geenna, nessun cedimento a “lapidare” l’adulterio. No, papa Francesco è artefice (per usare un’altra parola cara a Borges) di una pastorale della carità e della misericordia in cui il pastore accompagna il fedele verso il perdono, esattamente come Gesù fece con l’adultera, nell’episodio evangelico. La salvezza viene prima di tutto, scrive il papa, ed è compito della Chiesa integrare non cacciare, in base all’irrigidimento dogmatico della dottrina. Il conflitto tra dottrina e pastorale del perdono viene dunque qui risolto, forse una volta per tutte, sostenendo che l’accesso alla sacralità dell’Eucaristia resta un problema legato alla conversione del singolo fedele che dovesse trovarsi in quella condizione “irregolare”. Ma con il discernimento, la pietas, il perdono e l’accoglienza, la pastorale della misericordia può spingere quel cattolico a ritrovare la strada maestra per riavvicinarsi alla liturgia, alla sacralità dell’Eurcarestia. Non è un caso che il capitolo 8 abbia per titolo “Accompagnare, discernere e integrare la fragilità” (pp. 225-247) e che la sua funzione sia quella di eliminare ogni “morale fredda da scrivania nel trattare i temi più delicati” (pp.246-47). Il cambio di paradigma di papa Francesco sulla famiglia è tutto qui. Ora vedremo quali sviluppi avrà nella vita quotidiana della Chiesa, di ogni singolo vescovo, di ogni parroco, e di ogni fedele.

Da jobsnews


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