Giornalismo sotto attacco in Italia

Donald Trump, un candidato razzista e misogino alla Casa Bianca

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Hillary Clinton non riesce a soddisfare suo marito, cosa ci fa credere che potrebbe soddisfare gli Stati Uniti?
Firmato Donald Trump, candidato della destra repubblicana alle presidenziali americane 2016.

Il multimiliardario nato nel Queens, a New York, 69 anni fa, riconoscibile dalla zazzara in pendant con il colore orange delle Hermes al braccio delle numerose donne della sua vita, e in tinta con i riccioli di “Un minaccioso clown”, come lo chiama l’ Economist, sembra in effetti la parodia di cattivo gusto di un candidato razzista, misogino, reazionario e guerrafondaio impegnato nella corsa alla casa bianca.

Ad ogni apparizione televisiva ti aspetti che compaia Jon Stewart per una pacca sulla spalla se non fosse che questa è l’amara realtà, e che nei sondaggi tra gli elettori americani ottiene consensi, sintomo che il sogno americano per molti resta diventare “apprendisti” di Donald, l’uomo che si è fatto da solo ma con il piccolo prestito da un milione di dollari del padre.

Il paragone con lo Steve Jobs del “siate affamati, siate folli” o con il Mark Zuckerberg di Facebook, che in questi giorni scende in campo per replicare alla proposta del “Trump furioso” di silenziare Internet e di chiudere con l’ennesimo muro le frontiere ai musulmani, risulta imbarazzante. Primo perché quello di Trump è il masticare un tempo andato, di novelli condottieri divisi tra finanza e televisione ne è piena una storia della politica che appare indifendibile, e secondo, perché cavalcare la paura per ottenere voti come la Le Pen in Francia funziona solo se di fronte non hai una politica seria e Hillary Clinton lo è, donna e seria.

L’Uomo impenitente che tra aquile, ballerine, lottatori di wrestling, cinema e fucili trova disgustosa una mamma che allatta, chiama una giornalista cagna, si preoccupa che le dita dei neri possano sporcare i suoi soldi soltanto contandoli, deride un eroe di guerra perché è ancora vivo, mima l’handicap del giornalista Serge Kovaleski, del New York Times, che soffre di artrogriposi, e vive i profughi Siriani come il cavallo di Troia che porterà gli Stati Uniti alla rovina, potrà forse battere i candidati repubblicani Marco Rubio, Ted Cruz o Jeb Bush nella corsa delle primarie, ma diventare il  45º Presidente degli Stati Uniti d’America è un’altra storia, un’altra sogno, un’altra speranza, un’altro Furore:

“Diceva Tom: Mamma dovunque un poliziotto picchia una persona dovunque un bambino nasce gridando per la fame dovunque c’è una lotta contro il sangue e l’odio nell’aria cercami e ci sarò.
Dovunque si combatte per uno spazio di dignità per un lavoro decente, una mano d’aiuto dovunque qualcuno lotta per essere libero guardali negli occhi e vedrai me” (Bruce Springsteen, The Ghost Of Tom Joad).


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