Strage di Bologna, a distanza di 35 anni dagli avvenimenti sono ancora incerti i mandanti

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Quest’anno la strage della stazione ferroviaria di  Bologna del 2 agosto 1980, in cui- in un attentato esplosivo- ci furono 85 morti e 200 feriti  rivendicato dai NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari) espressione del terrorismo  neofascista  ed ha avuto, tramite Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini gli esecutori materiali del gesto, ha ricevuto quest’anno una minore attenzione da parte dei mezzi di comunicazione di massa nel nostro Paese, sia da parte della carta stampata che degli strumenti televisivi.

Le ragioni sono intuibili. A distanza di 35 anni dagli avvenimenti sono ancora incerti i mandanti dell’attentato e la storia resta, dal punto di vista della ricostruzione storica, particolarmente  complessa e ricca di contraddizioni di notevole gravità.

Il 2 agosto 1980, alle 10,25 del mattino, nella sala di aspetto di seconda classe della stazione di Bologna, affollata di turisti e di persone in partenza o di ritorno dalle vacanze, un ordigno a tempo, contenuto in una valigia abbandonata venne fatto esplodere e provocò il crollo dell’ala occidentale del grande edificio. La bomba era composta di 23 Kg di esplosivo, una miscela di 5 Kg di tritolo e T4 detta “compound B2, potenziata con 18 Kg di gelatinato (nitroglicerina a uso civile). L’esplosivo, di fabbricazione militare, era di fabbricazione militare, era posto nella valigia ritrovata  sistemata a circa 50 centimetri di altezza sotto il muro portante dell’ala ovest su un tavolino porta-bagagli dell’ala ovest della stazione per aumentarne l’effetto; l’onda d’urto, con i detriti provocati dallo scoppio,  investì anche il treno Ancona-Chiasso che in quel momento si trovava in sosta sul primo binario, distruggendo trenta metri di pensilina e il parcheggio dei taxi davanti all’edificio. Di una delle vittime, la 24enne Maria Fresu, non venne ritrovato il corpo. Soltanto molti mesi dopo, il 29 dicembre 1980, fu accertato che alcuni resti ritrovato sotto il treno Bologna-Basilea appartenevano a lei che, con tutta evidenza, si era trovata così vicina alla bomba che il suo corpo fu del tutto disintegrato dalla bomba.

Subito dopo l’attentato, la posizione  ufficiale, sia del governo italiano guidato dal senatore Francesco Cossiga, sia delle forze dell’ordine, fu quella dell’attribuzione dello scoppio esplosivo a cause fortuite, ossia all’esplosione di una vecchia caldaia nel sotterraneo della stazione ma dalle testimonianze raccolte apparve con chiarezza la natura dolosa del gesto. La storia giudiziaria dell’attentato è storicamente coerente  e copre il periodo che va dall’11 luglio 1988, sentenza di primo grado contro i NAR e gli esecutori trovati alla sentenza del 23 novembre 1995 della Corte di Cassazione che conferma le precedenti pronunce. Il primo depistaggio, anzi il più grave, fu quello  da parte di alcuni vertici dei servizi segreti della P2 (gli ufficiali Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte (il primo era affidato alla P2 di Licio Gelli, vicina ai circoli più oltranzisti dell’alleanza atlantica) che fecero porre in un treno a Bologna, da un sottufficiale dei carabinieri, una valigia piena di esplosivo  con oggetti personali di due estremisti di destra, un francese e un tedesco legati a Stefano Delle Chiaie.

La motivazione del depistaggio si individua nell’obiettivo di celare la “strategia della tensione” o ancora nel proteggere Gheddafi e la Libia, divenuti ormai partner importanti per Fiat ed ENI.

A poco a poco le testimonianze, malgrado gli atteggiamenti almeno ambigui di Cossiga e di una parte non piccola della variegata destra italiana ed europea, portano alla scoperta di una probabile verità anche se non completa.

I giudici di appello descrivono l’operazione come organizzata su tre livelli: gli esecutori materiali(i NAR), il livello intermedio dei vecchi ordinovisti  (tra i quali Massimiliano Fachini e Paolo Signorelli), i mandanti occulti e gli ispiratori (la P2, servizi segreti “deviati”, ambienti politici della destra), strutture come quella che sarà individuata in Gladio.

Ma i buchi, dopo più di  trentacinque anni, restano, sia sulle motivazioni di fondo dell’attentato che appare come il più pesante di quelli compiuti tra il decennio degli anni Settanta e il successivo sia su quello delle complicità corpose che hanno prima determinato le modalità dell’attentato e successivamente ne hanno accompagnato lo svolgimento e le pesanti, terribili conseguenze.


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